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6 TEOCRITO


capraro
O pecoraro, a noi permesso non è sufolare
sul mezzogiorno. Abbiamo paura di Pane: ché stanco
ei dalla caccia appunto riposa. Bisbetico è allora!
Ma, Tirsi, poi che tu cantasti di Dafni i cordogli,
e dell’agreste Musa toccasti i supremi fastigi,
qui sotto questo pioppo sediamo, dinanzi a Priapo,
ed alle Ninfe, dei fonti custodi, dov’è questo seggio
di pecorari, e frondeggiano querce. Se tu canterai
come allorché gareggiasti con Cromi di Libia, una capra
io ti darò ch’ebbe un parto gemello, da munger tre volte,
ch’à due capretti, e inoltre ne mungi due secchie di latte,
ed una bómbola fonda, spalmata di cera soave,
a doppia ansa, foggiata testé, che d’intaglio anche odora.
L’edera fitta addensa le foglie d’intorno al suo labbro,
tutta di fior d’elicrísi chiomata. E di sotto si gira
una voluta, tutta superba di coccole gialle.
Foggiata è fra i due giri, divino ornamento, una donna
chiusa nel peplo, adorna del velo. Le sono d’accanto
due ben chiomati garzoni, che gara d’alteme parole
l’uno con l’altro fanno. Ma ciò non commuove la donna.
Ella un istante a l’un d’essi rivolge Io sguardo, e sorride:
subito poi si distoglie, e bada a quell’altro. E gli amanti,
con le pupille stanche, da un pezzo si affannano invano.
Dietro a costoro, un vecchio che pesca è foggiato, e una rupe
scabra e scoscesa, da cui s’affanna quel vecchio a lanciare
una gran rete; e pare prostrato da grave stanchezza.
Quanto vigore egli ha, tanto par che ne impieghi a pescare,
cosí pel collo a lui tutto intorno si gonfian le vene.
Tanto cosí lontano dal vecchio che in mar si travaglia,
bella una vite si vede, gravata di grappoli rossi,
ed un fanciullo la guarda, seduto su un mucchio di sterpi.