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Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/96

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Fu quella volta ch’io con Èucrito, e Aminta era il terzo
della brigata, andavamo dal borgo alla volta d’Alènte:
ché celebravano allora le feste talisie a Demètra
di Lícone i due figli, Frassídamo e Antígene, schiatta,
se ancor ce n’è, di Clizia vetusto e di Càlcone stesso,
che fece, col suo pie’, scaturire la fonte Birína,
forte il ginocchio a la roccia puntando; ed all’acqua vicini
l’ombria fitta d’un bosco tesserono gli olmi ed i pioppi,
tutti chiomati, tutti velati di pallide frondi.
Né s’era ancor percorsa metà de la strada, né ancora
era la tomba apparsa di Bràsila, e un uomo ci apparve.
Lícida il nome; ed era capraro; né chi lo scorgesse
poteva errare: in tutto l’aspetto vedevi il capraro:
ché su le spalle aveva d’irsuto villoso caprone
fulva una pelle, ancora di caglio recente odorosa,
ed una cinghia larga stringeva dintorno ai suoi fianchi
un vecchio manto, e un curvo randello d’ulivo selvaggio
stringeva in pugno; e il labbro s’apriva al sorriso; e con gli occhi
soavemente ridenti, mi disse, e con ilare labbro: