Pagina:Il Baretti - Anno III, n. 2, Torino, 1926.djvu/2

Da Wikisource.
76 il baretti

tano fuori croi latte e miele come i poemi plastici di Bistolti.

Coinè gazzettiere egli si é abituato a vedere tutto su uno stesso piano, senza proporzioni di grandezza: le parole che gli servono per lodare Viani sono le medesime adoperate j>cr Cccov, Allodoli diventa Maupassant, Stanghellini una specie di Gorelli. La lode nel vocabolario di Ojetti ò un’arma di malizia e di calcolo: in trent’anni di giornalismo gli è servita per smontare tutti gli ostacoli e tutte le opposizioni; l’ha rivolta a tutte le fame riconosciute e non l’ha negata a nessuno che stesse per affermarsi, cercando di addomesticare i giovani e di rabbonire i bisbetici, freddo e lungimirante come se preparasse una campagna elettorale, o un plebiscito. La lode di Ojetti valse a disarmare persino chi lo aveva ingiuriato atrocemente: Solfici, Prezzolini, Papini credettero generosità la sua faccia franca di fronte alle offese. Perfetto nel tacere con aulico riserbo; nel rendere ambigue le cose, morbide e gentili come in una Corte; nel ridurre problemi e uomini all’accessibile piacevolezza di tfna società femminile, Ojetti è il perfetto idolo dei contemporanei, il maestro raffinato delle belle maniere c dell’arte del successo. Come critico d’arte Vittorio Pica lo vale, Zuccoli é più felice narratore di lui e F.

Sacchi più giornalista: ina Ojetti resterà insuperabile nella magra arte di arrivare.

Se questo è Ojetti, si capisce perché non gli sia mai riuscito di prendere confidenza coi morti: nulla potrebbe ripromettersene la sua critica, e forse anche l’erudizione gli jiotrebbe giuocare qualche tiro, come se trasparisse che il suo classicismo è tutto affare di vocabolario 0 che le sue curiosità storiche c psicologiche sono strettamente casalinghe e provinciali.

Negli Scrittori che confessano, in barba a tutte le cautele, si verifica proprio questa sorpresa, che il confessore «’avventuri imprudente in una paese sconosciuto. Gli é che i viaggi, sia attraverso la storia sia attraverso il mondo, non sono mai stati un argomento allegro per Ugo Ojetti: jKirc che egli si trovi meglio a sua agio al Salviatino. Con la Russia poi è una disdetta! La scoperse vent’anni fa come l’avrebbe potuta scoprire Barzini, c i Russi lo 1 ingraziarono per il suo spirito battezzandolo Pliuscin che nelle Anime motte é un vecchio avaro raccoglitore implacabile di tutte le bucce, di tutti i detriti, di tutte le cicche.

Questa volta Ojetti parla del bolscevismo e della Russia d’oggi. Neanche gli uffici-stampa antibolscevichi dei banchieri parigini, neanche i rinnegati traditori delle bande di Deifichiti hanno divulgato tante leggende e tonte sciocchezze.

Ojetti giudica la rivoluzione russa come si giudicavano i giacobini nelle Corti Icgittimiste; egli accetta come verità storica i romanzi delle principesse russe spodestate e dei piccoli-borghesi controrivoluzionari; sostiene per il diletto dei lettori dcV Illustrazione Ita liana che i russi sono cento milioni di inco scienti senz’anima, individualmente più bassi dell’ultimo lazzarone di Napoli; scherza sullo «( zar Lenin»; difende il povero Nicola II, che, come tutti sanno, non era un debole o un tiranno, era, per unanime giudizio dei medici, un idiota. Ma scrivendo della Russia, Ojetti scriveva per i salotti italiani- La fatuità diventava un segno di bello spirito, fin ornamento, come gli errori di ortografia nella sua trascrizione dei nomi russi. La critica alla Ojetti deve pur mostrare per certi segni la sua facilità c spigliatezza. Egli apparirà brillante e disinvolto anche quando non sarà informato c continuerà a veder in Corchi lo spirito più originale della Russia d’oggi -— come chi mettesse Barbusse sopra Gidc o Proust — ignorando Sollogub, Balmont e Bloch.

Ma nella critica al Conte Ottavio l’ignoranza è un segno di aristocrazia intellettuale.

Sii.vio Alfiere.

1 tempi di Barrili.

Chi, jrn i lettori di Salvator Cotta e di Antonio Ih’Itrnmclli, conosce i 60 ramami dì Barrili? Eppure, non dico Cotta o Bcllrnmclli, ma nemmeno Fanzini salirebbe tcrirero irto libro come il Garibaldi barriliano.

lìarrili ha ancoro i tuoi ree ehi fedeli tra i genovesi.

Non era wit fctfcmfo, ora tin maestro, un eroe nel tuo mondo. Costumi e idee di un Guerrazzi, a cui sia stata tbnncata la rena romantica, un giacobino imborghesito. Stile, a tratti, iperbolico per rompere la monotonia. Il garibaldino dorerà diventare moderalo per poterti sentire il primo genovese italiano. La «provincia», fatta sostegno di un regime lontano, attente, capiva di rimanere detronizzata e disorientata.

Barrili poteva credere di prendersi la rivincita aumentando le tirature, conquistando un più vasto pubblico. Ma non ora una consolazione.

In realtà il mondo di cui «ramami ili Barrili conservano il ritratto o il documento moriea. F. Ernesto Morando cerca di risuscitarlo in questo curioso libro su A. G. Barrili c i mioì tempi (Pcrrelta, editore).

Morando ha trovato il tono che si con viene al suo argomento:

Ira il ricardo e l’appunto. E’ uh libro di profili c la figura del protagonista domina fra trenta uomini che. gli sono descritti intorno; minuzia ili aneddoti c precisione ili «cose risto» h’ideale letterario di Morando è un Abba gii) sostenuto ed eloquente:

egli si rassegna insomnia con faciliti) n parlare an aeronisticamente di cose anacronistiche c non cerca neppure di mettere una gerarchia fra gli aneddoti che rione elencando come una cronaca eroica di galantuomini.

F,’ veramente l’ultimo dei Imrrilianl e riafferma U suo ideale mazziniano, garibaldino, di democrazia tollerante, quieta, bonaria, provinciale, allegra ed nnornfn, con In modestia sicura di ehi non può tacere anche se. gli diranno che è un sopmrrissuto.

In queste pagine pulite e soltanto troppo minute ritire all’ultima ratta Barrili nella sua giusta atmosfera di bonarietà piuttosto farsesca clic umoristica.

Impariamo a capire come si formasse il mito Barrili e come i difetti della sua arte fredda, calcolata, distratta da troppi interessi; non dominata da una grande passione fossero quasi le regole morali necessarie ili questo mondo di curiosi sedentari. Il Morando iimmira Barrili senza riserve: ma questa premessi! acrilica non nuoce al suo racconto perchè il buon gusto e la naturale ritrosia trattengono il modesto cronista dal pronunciare Impilo spesso giudizi estetici sproporzionati.

E II suo entusiasmo prende per noi il sapore dell’ultima commemorazione e testimonianza.

Il teatro di Gabriel Marcel Nel 1914 Marcel si proponeva di costruire drnmes d’idécs che si svolgessero dans la sphère de la pensée metaphisique. Il suo doveva essere il teatro del seuil invisible..Se si tengono presenti le conseguenze che da De Curel aveva svolte Marie Lcnéru, l’autrice degli Affrnnchis, l’assunto non doveva sembrare nuovo. La novità di Marcel era il suo Umeramento di mistico dialettico sensibilissimo ai rimorsi delVanto-critica.

Perciò non converrà dare troppa importanza alla sua estetica che pretenderebbe di raggiungere il lyrisme de la pensée confuse, per produrre un’emozione analoga alla grande musique, diversa da Claudel, anch’egli psicologo dell’emozione religiosa, perchè non si lascierebbe sedurre dai milieux inactuels ou indetcrnfiijés.

E’ evidente che se noi ci troviamo sensibili a una poesia dell’ineffabile, intendendo la definizione come una metafora, non accetteremo un’estetica dell’ineffabile 0 dell’incspresso.

Fortunatamente Gabriel Marcel teme di avventurarsi dietro le tentazioni pericolose di ideali troppo indeterminati, si sforza di attaccarsi a uomini e ad ambienti della vita reale:

il suo novizialto di cavaliere di inguaribili illusioni è un noviziato di scrupoloso realismo e l’arbitraire e le vague giocano sopratutto come uno spauracchio Per la sua fantasia.

Nessun dubbio che la rara confidenza di Gabriel Marcel nel valore c nella realtà sovrana dello spirito gli abbiano aperta la via che conduce alle sfumature di finezza di Un homme de Dieu; ma gli esordi del suo spiritismo erano troppo polemici perchè le sue prime 0perc non dovessero risultare esercizi di dialettica e le sue tesi non presentassero una violenza c un’arroganza sommarie, pochissimo sostenute dal vigore della psicologia.

La posizione storica dell’autore è infatti quella di un nemico delle idee dominanti di positivismo laico e di scetticismo scientifico.

Egli ha il buon gusto di non seccarci con prediche antidemocratiche 0 con fulmini apocalittici ma il suo giudizio sull’eclettismo piccolo-borghese della scienza ufficiale non è meno severo: «l.’agnosticismc des nos ainés nous fail sourire; nous n’y voyons guère que la paresse d’intelligences casanières qu‘ effrayent Ics risques et le cahols du voyage». A questa sicurezza cieca egli non opporrà un’altra fede, ma un bisogno di ricerca: per la sua stessa natura i suoi drammi corrispondono alla sua personalità quando rispecchiano tormenti critici:

sono drammi di dubbio, non di contrasjo tra opposti spiriti. Quando i suoi personaggi affermano o s’impongono noi non possiamo credere; la sola risorsa che essi hanno per interessarci è la confidenza in cui essi si annientano.

Qui Marcel si trova ad aver bisogno di una tecnica, di un dialogo, di un’armonia di stile, che serbi il tono di queste atmosfere psicologiche, di queste albe spirituali, di questo ambiguo divenire delle coscienze e noi vediamo come il dialogo sicuro e magniloquente dei primi drammi, si faccia chiuso, insidioso, spezzato, ambiguo, sotterraneo, sottile ne Le quatuor cn fa dièsc (Editeur Pioti, Paris, 1925) «in Un Homme de dieu (Editore Grasset Paris, 1925).

Il segreto di questi sviluppi artistici che pochi avrebbero sospettato leggendo i suoi terribili drammi mistici del 1914 sta in ciò, che lo spiritualismo di Gabriel Marcel è mai riuscito a fissarsi in una fede, ad accettare dei dogmi, a crearsi delle tradizioni riposanti. La sua premessa spiritualista è un’audacia che egli non cercherà mai di dimostrare e che gli apre dei problemi invece di risolverglieli. La verità ch’egli cerca non è mai uno convinzione, Una proposizione: il suo tormento è la coerenza delle anime, la chiarezza delle coscienze. Le contraddizioni della società non trovano in lui un accusatore o un demagogo: sono occasioni al suo dramma.

Dalla decadenza della famiglia, ai disastri famigliati prendono argomento tutte le sue opere: ma sarebbe stolto pensare che Marcel ne voglia attribuire la responsabilità alla tristezza dei tempi. In realtà per lui le tnariagc ne fait quo reveler le fond des natures. Costringe gli spiriti alla crudeltà di confessioni infinite.

E‘ la perfetta atmosfera di controllo arido e spietato in cui deve scoppiare la sua crisi. Questo curioso ibscnismo è portato a una tensione e un’arbitrarietà allarmanti: la drammaticità di Marcel sembra mirare esclusivamente a superare tutti i limiti della sopportazione e a toglierci anche la possibilità del respiro: eppure questa caparbietà è la sua poesia.

Anzi quando si propone sviluppi regolari di lesi c di intrecci Marcel non si trova più a suo agio tra gli indugi della verisimiglianza e della casualità: i suoi personaggi finiscono per ’>ingannarlo. Cos) ne La Gràce si vorrebbe dimostrare come dal peccato possa nascere la grazia e dalle tentazioni la gioia mistica, ma l’atmosfera mondana di un matrimonio mate assortito in cui l’autore fa discutere addirittura un dissidio fra scienza c fede ci sconcerta come tutte le pedanterie prese troppo alla lettera.

In una bella ragazza ventiquattrenne non ci gai bain) troppi argomenti di tesi dottorale, specialmente quando ti accorgiamo che la parte è giocata sotto una maschera di maniera.

Nel Palais de Sable il problema è ancora più stringente e totale: a 52 anni il protagonista, capo di un partito di azione cattolica, si accorge di non essere cattolico, c se ne accorge per l’appunto mentre la figlia sta per farsi monaca. E’ una coincidenza che pare un ricatto e infatti sul filo di rasoio del ricatto resta tutta questa catastrofe famigliare di incompresi; troppo facilmente essi pronunciano parole definitive e impegnano t’cteniità negli incidenti quotidiani. Soltanto la figlia Clarissa sa trovare qualche volta toni singolari di protervia ascetica.

In queste opere mistiche l’autore non ha ancora preso sufficenle confidenza con i suoi personaggi: egli non si è accorto della loro aridità, del loro egoismo, della loro mancanza di cuore; lenta uno svolgimento patetico mentre a questi spiriti non si può chiedere nulla più che il processo di una squallida crisi.

Nell’ultimo teatro di Marcel avremo invece un dialogo tra mondano e sentimentale, raffinato attraverso gli esempi di intimismo c le complicazioni psicologiche più sottili. Egli ha cercalo di assimilare anche il tradizionale teatro d’amore francese, che poteva sembrare incompatibile con De Curel. E se a questa tradizione di virtuosità egli resta inferiore in agilità di stile lo sostiene per altro una preoccupazione di costruzioni psicologiche che non si può dire classica solo per l’insufficente maestria dell’intrigo e del carattere.

Questa cautela tecnica si può vedere bene scomponendo nei suoi termini la storia di Chiara, protagonista de Le quatuor cn fa diòse.

In primo piano si ha una cronaca borghese.

Chiara: «Jc ne suis pcul-Stre qu’unc mauvaise femme, qui n’a pas su se faire aimer».

Perchè non ha saputo farsi amare e perchè suo marito la tradisce, Chiara divorzia da Stefano, il mistico della musica. Ma non si può dire che ella affronti con molto coraggio la solitudine.

Ascolta volentieri le parole di pietà del fratello di Stefano, Ruggero. E quando la pietà diventa amore, quando Ruggero le propone le nozze si direbbe che Chiara accetti perchè si tratta del fratello di Stefano, perchè è in fondo la sua rivincita. Ma Ruggero è veramente la ombra di Stefano; Stefano creatore, Ruggero clartè de satellite. Senonchè il passato non si può distruggere: i due fratelli si amano e Chiara si riconosce vinta e delusa in Ruggero ombra del fratello. Ella deve confessare il fallimento c rimanere ad assistere i sogni mediocri di Ruggero condannato alla sua debolezza.

Sotto questo intreccio facile scorgiamo originali elementi di tragicità. Il dramma di Chiara è visto con notevole precisione. Ella ha bisogno di restcr maitre de soi. Il suo motto è «Je me méfic terriblemcnt de tout ce qui ne se laisse pas nommer». Può sembrare une femme cérébralc.sans veritable scnsibilité, imbue de sa personne, sans le moindre tact. Ma non ha tatto perchè vuole rapporti precisi; ha timore della sensibilità perchè teme gli oscuri equivoci, i silenzi doppi. Stefano di fronte a lei è une hereuse nature, pronto a nascondere gli ostacoli, le piccolezze, le contraddizioni sotto una poetica formula mistica, che esalti il suo dilettantismo di «grande artista». Le vicende dei due matrimoni di Chiara, che costituiscono il dramma, ci rivelano, senza rigidità di formule la sua anima. Ella stessa non fa che raccogliere prove che la chiarezza desiderata non si raggiunge.

Nel dialogo della sua ricerca c’è qualcosa di disincantato:

certi rapporti hanno un giusto tono freddo e tagliente. Il suo amore successivo e poi complicalo per i due fratelli la mette di fronte all’oscurità di rapporti d’affetti troppo delicati e troppo sottintesi. Où commence une pcrsomialité. Ecco un altro problema clic le resta chiuso. Dcux destinées ne peuvent clles se Her l’unc à l’autre cn pleinc clarté? Al vecchio sogno della sua vita ella deve ormai rispondere senza illusioni.

In questa descrizione di disinganno Gabriel Marcel ha saputo conservare un tono ibseniano.

La stessa incomunicabilità Ira vita reale e vita pratica è trasportata in Un liommc de Dieu nella famiglia di itn pastore protestatele.

Si tratta di sapere se Claude, che, tradito dalla moglie, le ha perdonato ed ha dato lutto il suo affetto alla figlia non sua, è un eroe o un egoista, se ha agito per spirito di sacrificio, per amore, o per evitare uno scandalo.

Dilemmi che potrebbero anche essere banali se l’autore non procedesse con singolare delicatezza, sforzandosi di non lasciare il torlo a nessuno dei suoi personaggi, di illuminarli tutti di una giusta luce. Soltanto con questa confidenza egli ci può fare accettare un bigottismo tatto di fedeltà estrema alle posizioni prese; nel suo mondo insonne, dove la poesia è soffocata dalle prove, ci deve bastare che sia sempre presente una convincente chiarezza.

Togliete ad Ibscn il tono solenne del canto e l’epica del mito: resta la crudeltà dell’ironia contemporanea. Giusto di Zeno.

Il teatro di Gabriel Marcel è stato pubblicato dagli editori Grasset, Pioli e Stock.

Ver rapire due, monili itile elrlllà, due popoli leggete:

K. Gnvrrnco: Antologia dei poeti tedeschi L. 10,— C. (’■ immuni: Antologia dei poeti catalani» 14,— Cliictli-lcli rimiro vaglia 11 l.v Eilizioni del Barelli.

AUSPICI Fi neh cè l’uomo l’essere non iscrutova con crogiolo, bilnneia c misura, ma come fanciullo agli oracoli di natura [porgeva ascolto, coglievano i segni con fede, finché la natura egli amava, ella con amoro a lui rispondeva:

per lui d’amica sollecitudine piena, linguaggio per lui ritrovava!

Sentendo sventura sopra il suo capo, il corvo grncchiavngli per avvertirlo, c, nei disegni nell’ora, umiliandosi al destino, ei ratteneva l’audacia.

Incontro corrcvagli dal bosco un lupo, movendosi in giro c col pelo irto, vittoria pronosticava, e con ardire la sua schiero Innciava egli spila nemica milizia.

Coppia di colombi, ventando su lui, delizie d’ani or predicava.

Nell’ermo deserto egli non <ya solo:

vita a lui non straniera colà spirava.

Ma, il.senso sprezzato, ei s’affidò alla ment®, s’immerse nella vanità delle indagini, c il cuor della natura si chiuse a lui, c sopra la terra non più profezie!

E. A. Baratinschi (1800-1844) (Traduz. di A. Poliedro).

La fuga in Egitto Legge tuli> questo romanzo — che è naturalmente grigio e monotono, ma ha un tono, una misura /menta — abbiamo pensato che due anni fa parve che il premio Nobel stesse per essere assegnato a Grazia Dei et!da. Questa è la più bella riprova delle, solide qualità di buon senso e di penetrazione inorale, che diventano poi sicurezza estetica, ili quel collegio giudicante:

qualità che sostituiscono vantaggiosamente il buon gusto blasé e l’umore per l’eccezionale e per il;paradosso, Nessuna cam pugna di Stampa ■nessuna allucinazione collettiva vìncerà mai la mediocrità irn/mrziale e. conservatrice di quei giudici: essi sono difesi contro i /mrvenus l’1 conquistatori, lo ha imparato Pirandello, dagli stessi pregiudizi della loro educazione. — Grazia Deledda evidentemente è la sola tra gli scrittori italiani che possa impressionarli e convincerli. E’ probabile che essi comincino con l’ammirarne la regolarità mimfita l’continua, la lentezza progressiva con cui si è fatta /mdrona del suo mondo, allargandolo e- migliorandosi sempre, anche quando sembrava che si ripetesse la ripugnanza per tutti 1 gesti, la lontananza da tutte le cricche, l’umile devozione alla sua terra e alle proprie manchevolezze, il disdegno per il politicantismo dc,i letterati. — — Forse Grazia Deledda è il solo scrittore italiano che sìa stato ininterrottamente fedele, al suo editore, it Trevcs, anche negli otini in cui lutti correvano a Vitaglfano, a Jìcmporad, a Mondadori: nello stesso mOdo è rimasto fedele a lei il suo pubblico. Ella ha soltanto lettori devoti che una volta conquistati non perde più.

Discutere i trenta libri che Grazia Deledda ha stampalo da 17 a 50 anni ci sembrerebbe inutile quando tutti hanno in mente il profilo della scrittrice, e «pregi e i vizi della sua arte.

Nè la Fuga in Egitto si presta a rinnovare il discorso.

Basta tra tanto futurismo e propagandistno artistico, tra tanta fiera letteraria, indicare un esempio morale.

PILLOLE Ojetti giudicato da Carducci Ma lo mcucho, por altro, lo mosche cocchiere sono pur le male bestie e noiose! Si fermano alla prima osteria e van ronzando negli orecchi alla gente. Vedete là quella carrozzacela tutta stinta e sdrucita c sgangherata, co’ sedili cho paiono schiene d’asini pelati, con una rota sola e mezzo timone? Quella b. la carrozza del nostro [iacee. Ma ora veniamo in questo paese a rifarla c ci abbiamo attaccato un Pegaso Pacolct, e sono io clic guido Zu, zu. zu. A un viaggiatore scappa la pazienza 0 tira una cenciata.

Va via, ‘brutta bestia.

G. Carducci, 1897.

Moto c vuoto Nella mia risposta all ’Inchiesta sull’idealismo dove io avevo scritto che l’idealismo neohegeliano è riuucit< ad improntare di sé largamente il moto della cultura italiana, il proto mi ha fatto dire il vuoto. con che parrebbe cho io mi associasr-i al giudizio negativo, cho il neohegelismo suol dare della cultura italiana proccdento il suo avvento, o lo estendessi dal prima anche al dopo, conio sentenza su tutta la neutra cultura dell’ultimo cinquantennio.

Ora siccome nò l’una ne l’altra cosa ò affatto nelle mie intenzioni, così desidero che neppure mi venga attribuita.

It. Mondaifo.

IMMINENTE:

MARIO GROMO COSTAZZURRA Al proaotatori L. * L‘ Araldo della Stampa Ufficio di ritagli da giornali e riviste DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE ROMA (20) ■ Piazza Campo Marzio, 3