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MICHELST AEDTER Dei casi e del pensiero del Poeta e Filosofo goriziano Carlo Michelstaedter suicidatosi nel 1911 a ventitré anni «por ragioni metafisiche»

appena scritta la parola fine nella oua tesi dottorale sulla Persuasione e la retorica che il Vailecchi ha pubblicato postuma, dopo il Papini molti hanno parlato: chi per mottero in evidenza la singolarità della violenta morte, o chi por accademicamente dissertare sul suo pensiero filosofo.

Ma all’antlrcttorico Michelstaedter non ci si può accostare con Panimo incline a curiosità clamorooa, o ad algidi ludi cerebrali, bisogna col cuore acooetarglicisi. Per chi gli si accosta con tale intcriore disposizione, vivo è ancora il suo messaggio.

La meta della persuasione ò in alto od è in basso; a seconda che si tratti dello spirito oppure della materia.

«Un peso pende da un gancio, o per pcndoro soffro ohe non può scendere: non può uscirò dal gancio, poiché quant’è peso pende, o quanto pende dipendo. Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza, lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del più basso, c scenda indipondentomente finché eia contento di soendere.

Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta, «vuolo pur scenderò, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga. «Poiché» infinita gli resta pur Sempre la volontà di scendere. Cho oc in un punto gli fosse finita, e In un punto poteaso possedere l’infinito scendere dell’infinito futuro in quel punto coso non sarebbe più quello cho e: Un peso (Persuasione, p. 13).

«Chi vuolo aver la vita non deve credersi nato., e vivo, soltanto perchè nato, nò sufficiente la sua vita, da esser così continuata e difesa dalla morte. Egli è solo nel deserto, e devo crear tutto da sé: Dio e Patria, e famiglia c l’acqua e ii pane. Poiché quello cose cho il bisogno gli addita, quelle sono U ouo stesso bisogno; quelle che restano sempre lontano, quanto il suo bisogno di continuare la proietterà sempre avanti nel futuro; quelle non le potrà mai avere, ma quando vada a loro esse u’allontaneranno, poiché egli rincorrerebbe la propria ombra.

■ (Persuasione p. 40-41). Questo tendere verso un punto sempre futuro relativamente al presento del soggetto senziente, è l’eterna origine del dolore, che rilevandosi come dimostrazione dalla nostra insufficienza, la nostra vita fa apparirò quale una eterna deficienza, e quale una vile acccttaziono della morte.

Cadaveri noi stessi, di cadaveri è formato il nostro spirituale e materiale nutrimento. Parallela all’infinità della neutra fame, corre l’infinità della nostra miseria della nostra dipendenza.

Uno sterminato cimitero è il mondo.

Nell’acoontentarui di questa o in questa morto consisto la rettorica. La quale è il resultato della nootra sconfitta: un punto spaziale o periferico del punto unico e totale nel quale consiste la méta del nostro dolore, la persuasione.

Ogni volto da noi assunto è una maschera, come le Istituzioni della rettorica originale sono violenza organizzata: la violenza della tonobra contro la luce; dol pcao contro la leggerezza; del futuro contro il presente.

11 nulla ci sta d’attorno, ma un nulla che c’incatena e c’impaura: ombre sul muro che scambiamo per uomini, brutti sogni che ci fan di soprassalto svegliare.

Ma come non può avere un volto, questo nulla non può avere una otoria. Così da questa verità gli uomini saranno edotti che la storia è ■un circolo chiuso di fatti che eternamente ai ripetono (Idea greca dell’eterno ritorno: Nietzsche t) E* tutto ciò il Fato, contro il quale l’uomo deve orgersi, Lucifero, Prometeo, per disprczzaro e vincere la correlatività dei rapporti che lo abbassa cosa fra le ccoo, in un mondo cshe ha una sola voce ed un occhio solo, quello della nostra fame o della nostra distensione nel futuro.

(Qui si fa allusione all’istinto, cd al mito greco del Ciclope). Due mondi entrambi a sé stanti sono di fronte..in un parallelismo che i] Michelstaedter non riesco a filosoficamente superare. Invece uno solo dei due mondi nega, quello della materia, così che U conosciuto mondo degli spettri tutto gli si rivolta contro e gli si addossa nella disperata lotta per affermare creare sé stesso, od In so stesso la persuasione nella quale eternamente permanere.

Dal nulla avviato al nulla perviene in questa sua lotta nella quale le istituzioni degli uomini cadono in frantumi, nel deserto che gradatamente si fa attorno sempre più rarefatto e solenne per laociare con magnificenza splendere la scia luminosa del persuaso che con tutta la sua vita resisto alla fame del futuro, alla bella morte immolandosi per far di sé stesso fiamma.

In basso là in basso è stata relegata la storia degli uomini; che non è veramente la «loro»

storia, ma quella dei detriti che la «loro» debo* lezza ha generati. Per concocere questa basta fermuiui, c sufficiente entrare in qualità di schiavi nelle relazioni sociali cd amorevolmente accettarle, sì da crederle una cosa viva c vitale.

riatono, nell’età stanca, ma specialmente Aristotile han fatto ciò, e dalle loro cogitazioni son nato la ocienza e la storia: vale a dire le «elucubrazioni» attorno alla materia; e i codici delle mistificazioni dal Dio dolla viltà compiuto.

Il solo valoro cho valga ò l’io per Mlchelstaodlor.

L’appello lowianskiano: «Soyez vousmeme sana regarde pour lea loia du mondo!»

riuuona come una tromba di Gerico, nella sua prosa cho é il vibrante corpo di un uomo; por svegliaro lo morto anime degli uomini vegetanti nolla radura: forse solo in Weininger l’esigenza etica della libertà morale ha raggiunto un tale acume drammatico od un’eguale serietà:

e H personale dramma di quosti due figlioli d’Isracl morti per avor voluto eseore so sterni porsuasi nell’imperdibile possesso della verità, è un dramma brandiauo non indogno d’essere cantato dal «più grondo poeta della vita morale».

Si potrebbero riguardare queste divorsò idem ticho espressioni, quali crepuscolari luci dol pensiero kantiano, sarebbo però un rlmpicciollrie assiemo al problema che enunciano. Il quale è in ciò ma è anche in alto. Non si può ignorare che si tratta di duo ebrei; di due uomini ci è che han dovuto per conto proprio rifare l’esperienza eroica individuante (negativa) del Cristianesimo, qualo Cristo stesso l’Ka insognata e vissuta, nella forma che il modorno pensiero critico ha modellata.

In quanto fedeli a questa forma, possono essere considerati degli epigoni del pensiero kantiano; ma in quanto alla sostanza essi fan parto di diritto della schiera esigua degli eroi del peneiero; il maggiore dei quali è Cristo, cho tutti li assomma e tutti li informa.

La coscienza di questa loro appartenenza sostanziale alla Chiesa eterna era del resto viva in.entrambi, ancho se solo il Weininger ha desiderato con un atto esteriore renderla palese.

Ma lasciamo oramai Weininger al suo problema od alla sua soluzione. Michelstaedter altamente vale; egli cho non ha formalmente accettato il Cristianesimo, perchè di esso ha accettato soltanto ciò che è espressione di moralo eroismo (dato nogativo), senz’arrivare al suo vero nocciolo (dato positivo), il quale comiisto nel concepire la vita qualo una quotidiana resurrezione dalla morte, por renderò la morto stessa, vita.

Michelstaedter «desiderava» invece prescindere da essa, volendo dal nulla creare la «uua»

vita.

8cgretamente Zarathustra soffiava nella sua anima: e vecchi paurosi pepaieri s’agitavano nella sua mente per parlargli di «dannazioni eterne», di «distacchi oostanziali», d’«incolmabili abissi», fortemente impressionandolo sì da trasformare i termini dialettici di questi ponderi, in passionali motivi di sofferenza morale.

Michelstaedter drammatizza così il pensiero che non è più una roto contesta di ooncotti astrattl della vita, ma la carne viva di un uomo.

In questa drammatica passionalità consisto la originalità cd il limito del suo pensiero, quanto la tara della razza infittagli; della qualo non ha • potuto trionferò e liberarsi che colla morte».

Egli non ha saputo andar «oltre la dialettica», ma in questa è rimonto impigliato nel momento stesso cho ■ tutto in un punto vivendosi»

ha creduto di superarla. Egli non ha vissuto il Crinto, quale redentore: non ha potuto capire e vivere il fatto del Golgota. In ciò la sua incapacità a sorpassare il nucleo della razza: oggetto inconscio-occulto del suo interiore dramma; e motivo della sua filosofìa individualieta.

L’importanza del suo pensiero è però del tutto critica e negativa: restano soli, luminosi e solenni, il uuo richiamo alla libertà moralo c la sua eroica fine, che non è una morte, ma una «combustione».

Di quel richiamo e di questa «combustione»

o della serietà-coraggio nell’accettazione e ricerca dolla verità, è pregno il Messaggio cho dai regui dell’Ignoto c’invia il Michelstaedter.

Armando Cavalli.

Teatro Teatrale Ancora nel ’700 ci riconosceva Voltairo:l privilegio di perfetti scenografi.

Fu la neutra Rinascenza a portare lo risorsa della prospettiva lineare noi palcoscenico austero creato dai greci, coi nuovi doni di congegni o meccanismi scoperti dal Medio Eyo.

Poi Bibbiena, Piranesi, Gonzaga, nel corno di tre secoli furono padroni. doll’artc con la maestosa stabilità di opere complete di pittura o di architettura.

Lo spirito animatore di questo ricerche scenografiche, por tutto il periodo neo-classico (Gonzaga muore nel 1831) è riaosunto nelle parole di Voltaire: *La decorazione dei teatri consiste nell’arte di rendere col soccorso Jcllu prospettiva, della pittura e di una illumina• rione artificiale tutti gli oggetti che a noi offrala natura».

Variano gli spettacoli dal gotico tenebroso alla falsa religiosità del barocco-, ma le scuoio inoeguono tuttavia il sogno dell’imitazione del vero. Il senso dello favolette riesce in questi casi più decisivo delle teorie, cd eccovi l’Algarotti raccontare piacovolmente: «/Ve/ tmtro di Claudio Pulvro fu condotta una prospettiva con tal maestria che, al dir di Plinio,’ le cornacchie, animale non tanto goffo, credendo vere certe tegole <v» dipinte volavano per posarvici sopra a quel modo che da certi gradini dipinti in una prospettiva daI Dentane (1576-1631) fu ingannato un cane che volendo salirgli in piena corsa diede fieramente contro il muro e nobilitò della sua morte l’artificio di quell’opera».

Lo inganno degli occh i sarebbe la scenografia por un dimenticato trattatista del ’600. L’inganno poi por concorde parere di tutti gli artefici sta nel rifarò le apparenze Tramonto del teatro Che cosa fece il verismo noi l’ultimo cinquau teunio se non portare all’assurdo questo schema o perdersi nella fotografia c nella decorazione degli appartamenti quasi per attrarre alle opero bonario di Già -osa e di Ferrari i gusti di jtarvenu del popolino? Ma ce le scene non ci devono dare che il lusso parigino, le grandi opere guadagneranno a essere rappresentate con semplicità. Gli spiriti più moderati auspicarono un teatro i» cui l’attore fosse colo dicitore. Senonché, giunti a questo punto se il teatro è soltanto l’opora teatrale, il miglior segno del gusto degli spettatori consisterà nella loro ca pacità di diportarlo per leggersi riposatamento, a tavolino, senza ingombri, senza mediatori, l’opera d’arte. Oggi i critici drammatici ita Dani, che rimasero appunto iucsporti di ogni segreto sconografico, anticipano questo cammino; sono critici letterari veri e propri c giudicano l’opora alla lettura paghi di cercaro nella rappresentazione una riconferma.

Il pubblico fuggo la noia, disertando il dram ma per l’operetta. Perchè l’operetta è rimaatn il vero spettacolo, che ha il suo senso In se stessa, magari nel cattivo gusto del suo sfarzo, ma non iri una mediocre letteratura d’accatto.

Ci sono valori di fascilo di improvvisazione, c’è il meraviglioso, il solenne, il fantasmagorico; H teatro vuole queste sorprese vive a patto di realizzare questi divertimenti, c non per le pedanterie della cultura o del moralismo.

I valori di stile non sono per tutti; i teatri d’arte devono rimanere piccoli teatri, dove l’illusione è abolita, o si può contaro sul sottinteso; Jacquco Copeau aiuterà il rinnovamento della letteratura assai più cho del teatro francese.

Per ritornare al senso dello •spettacolo, abbiamo bisogno di maghi c non di letterati.

In questo senso ai può intendere la crociata del nostro selvaggio amico Bragaglia.

Per limitarci all’Europa occidentale Gordon Craig, Max Reiuhadt, Appia, possono considerarsi come tre maghi intenti a dare un significato moderno al teatro, a farlo vivere per il pubblico a liberarlo dalla poesia c dalle altro arti.

Craig Le attitudini di Gordon Craig a far naaccro la meraviglia si riconoscono subito in quella sua faccia di ingenuo entusiasta, di burlone aperto e rumoroso. Sembra un fanciullo che nasconda le astuzie nella franchezza Inglese del ouo aspetto. Gordon Craig ha tre odi inesorabili:

la fotografia, il lusso americano e lo lampudiue di 300 candele nelle piccole camere del piccoli uomini, a Le candele — osserva il mago uni modo di illuminare lo scone — cospirano in pro’ delle buone maniere, grazie ad esse non ci si trova in una perpetua insolenza meridiana. Al calar della sera, calano anche le voci, la gente si muove meno, il lavoro della giornata *’ finito. E io capirei bene un allestitore, il quale per uu dramma tranquillo dove I movimenti siano pochi, un dramma se* tale di cose srmjtlici, tornasse ancora una volta a usar le candele*.

Contro il simbolismo, lo luci psicologiche, o l’insopportabile immobilità dol verismo, Gordon Craig torna a uiir concezione classica dello opcttacolo, come sinfonico risultato dell’opera, della recitazione, dolla decorazione. Ai suoi pro]>ositi si possono dare come motto le parole di Eleonora Duse: «Per salvare il teatro bisogna distruggerlo: gli attori e le attrici devono morir tutti di peste. Essi ammorbano l’aria, fanno impossibile l’arte».

La lotta di Gordon Craig è contro il troppo umililo: bisogna sopprimere l’attore smanioso di portaro nel palcoscenico la vita, ossia i greti esuberanti, la commozione animale, la naturalezza goffa; l’attore ritorni un elemento dominato da un gioco armonico di immaginaziono.

La vita del teatro c al di là dolla natura, Craig ottiene spettacoli miracolosi coi minimi mezzi.

Le sue risorse scenografiche ai riducono ad aver adottato un apparecchio illuminante semplice, lontano dallo sfarzo c dei tramezzi bianchi cho si aprono o ripiegano, secondo ogni foggia o misura. Restiamo noi mondo doll’improvvioaziono.

Abbiamo la gioia di continue sorpreso novità di divisoni e di aperture per l’entrare c por l’allontanarsi degli attori. Tutte lo risorse sono architettoniche, perché solo gli upazi riescono definiti dall’artificio dello scenario mentre la complcssività è recata dall’abile uso dello luci colorate. Dobbiamo restare in una atmeofora di favola.

Reinhardt Invece Reinhardt, attore, decoratore soouografo, impresario perdo a essere considerato, conio Gordon Craig, por lo stilo cr la luce: le luci colorate sono i suoi viventi colori. Contro Craig afferma che l’attore ù tutto. Ma anche l’attore è limitato dall’ambiente che lo circonda. Nessuno prima di Appia ha scoperto con tanta precisione e fondatezza l’autonomia del teatro arte vivente, da tutto lo altre arti. D’accordo con le nuove enteriche egli proclama che il dramma sta nell’esprcssiono non nel significato (nella forma, non ne contenuto).

Tutti i vecchi cruori ili appreseci none sono capovolti si trutta di creare ciò che non c’è.

Perciò il teatro si fonda au elementi mobili, capaci di fonderai e di trovare ogni volta una nuova sintesi: musica, aorchilettura, corpo limano, luce-colore ambientale. Poesia c pittura restano invoco soltanto occasioni, dati rigidi superati nelle nuove armonie, che nascono quasi improvviuato al momento dell’offotlnazione scenica.

Questo è modernismo intelligente: sono sfruttate sul serio persino lo esperienze di dinamismo plastico, pcruino la influenza che ebbo lo sport, nel valorizzare l| corpo umano. A quali effetti sappia giungere Appia con queste promosse si è.potuto vedere nello scene di Wagner.

Quando scrive: Tout effort sèrieux pour reformer noire theatre, uc dirige mstinctivcment vers la mise en scène, egli lavora dunque per la sua idea fìssa, lo spettacolo, Pari vivant.

Appia ci vuol dare il nuovo teatro popolare, cho abbia por lo grandi follo I) faccino della operetta senza ripeterne il goffo sfarzo, e le monotone ebbrezze.

Paolo Simonkschi.

/ manoscritti non si restituiscono. Chi vuole risposta unisca il francobollo.

PIERO ZANETTI - Direttore responsabile.

Tipografia Sociale - Pinerolo.

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