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Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/164

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parte prima 93

a decifrarle. Esse contenevano gli editti di un re, che vi era chiamato col nome di Priyadarçi, cioè a dire «inclinato all’amorevolezza», in Pali Piyadasi (nome che si trovava preceduto anche dall’appellativo di Devânâmpriya), coi quali egli dà ai suoi popoli precetti e consigli concernenti la morale, la propagazione della Legge del Buddha e lo incremento di quella. Poco dopo che tali iscrizioni furono scoperte, il Turnour dimostrò che questo Priyadarçi non era che Açôka II o Dharmâçôka, del quale ho fatto, menzione poco sopra. La cosa si tenne per certa; in quanto che il Mahâvança, dal quale il Turnour tolse così preziosa notizia, dice che Priyadarçi era nipote di Candragupta e figlio di Bindusâra, ed era vicerè di Ujjayinî. Ora Açôka, tra’ figliuoli di Bindusâra, è appunto colui che fu viceré di Ujjayinî.1 La identificazione di questi due personaggi, quantunque messa in dubbio dall’Wilson, è oggi generalmente accettata, tanto per le notizie del Mahâvança intorno a questo re, quanto per la somiglianza grandissima che si riscontra tra il Pryadarçi degli editti e l’Açôka2 delle leggende che si trovano trai ricordi delle croniche buddhiche. Le iscrizioni che questo re ci ha tramandate, hanno molta importanza, non solo per la storia dell’India, dandoci un’idea dell’estensione di territorio su cui signoreggiava Priyadarçi, ma ancora perchè ci danno modo di formarci un esatto concetto dello stato della religione buddhica a que’ tempi: e si possono tenere, sotto questo aspetto, fra le più preziose reliquie della storia religiosa dell’umanità.


  1. T. S. Burt, Inscription found in Bhabra three marches from Jeypore on the road to Delhi, J. A. S. B. t. ix, p. 616.
  2. Lassen, Ind. Alt., t. ii, p. 233. — Wheeler, The Hist. of Ind., t. iii, p. 230, nota 26.