Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/266

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parte prima 195

della esistenza; l’altro è applicato a designare quello stato particolare dello spirito, che è una specie di santificazione, consistente in un benessere generale, dovuto al sentirsi libero dalle passioni e dai desiderii: stato che è goduto dal devoto, nel periodo che precede immediatamente l’annullamento dell’esistenza. Quest’ultimo modo di essere, questo Nirvâna incompiuto, è indicato più specialmente con l’appellativo di Kleça nirvâna «annichilazione delle passioni umane», o con quello di Upadhiçesha nirvâna, ossia «Nirvâna, in cui rimangono gli elementi dell’esistenza»; mentre il Nirvâna compiuto, o il vero Nirvâna, viene chiamato Skandha nirvâna o Anupadhiçesha nirvâna, cioè a dire «annullamento degli elementi dell’essere», «stato privo di ogni traccia d’esistenza».1 Quando vien detto nelle scritture, che un devoto, giunto a un certo grado di santità, per esser riuscito a dominare le passioni e i sensi, ha conseguito il Nirvâna, deve intendersi il Kleça o Upadhiçesha nìrvâna o Nirvâna incompiuto. In quello stato egli vive ancora di una vita pura, dotato di poteri soprannaturali, deliziandosi nella ineffabile certezza che il gran nemico dell’uomo, l’Esistenza, è stato finalmente vinto e sconfitto. Morto che egli sia, non rinasce più nel circolo della trasmigrazione, perchè è stato capace di distruggere il germe della vita: la lampada della esistenza, come dicono, ha terminato di ardere e si è estinta. Allora è giunto al vero e proprio Nirvâna, l’Anupadhiçesha nirvâna. — Nei luoghi delle scritture, dove ci viene rappresentato il Buddha, che dopo essere entrato nel Nirvâna, appare


  1. «Upadhiçesha significa i cinque skanda....; anupadhiçesha, che manca dei cinque skanda». Abhidammattha sangaha, loc. cit.