Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/268

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parte prima 197


Dopo quanto ho esposto fino ad ora, una domanda si potrà affacciare alla mente. Col procedere del tempo la dottrina del Nirvâna, tale quale l’abbiamo interpretata, si mantenne sempre la stessa; oppure si modificò secondo l’indole diversa delle diverse scuole, che più tardi si andarono formando in seno al Buddhismo? — Il Wassiljew limita il significato di Nirvâna, interpretato come «annullamento dell’Essere», solo al primo periodo del Buddhismo. Max Müller invece nega, come abbiamo visto, che in quel periodo il vocabolo nirvâna avesse tale significato; e crede che la dottrina nichilistica sia posteriore, e dovuta solo alle scuole filosofiche, i cui scritti formano l’Abhidharma, che è la terza parte del canone buddhico o del Tripitaka.1 Ma non è difficile accorgersi, dalle poche parole che servono di introduzione al presente capitolo, come il grande e libero svolgimento, a cui andò soggetto il sistema di Çâkyamuni, abbia dovuto introdurre, in alcune sètte buddhiche, tali dottrine metafisiche, affatto inconciliabili col senso nichilistico della parola nirvâna. E non è perciò strano se questa parola si trova, per avventura, adoprata in qualche scrittura ad esprimere uno stato di beatitudine, che non sia il Nulla, destinato a mèta della vita umana; e ciò in quelle scritture appunto che sono ispirate a dottrine più recenti.

Una esposizione in brevi parole delle quattro principali scuole filosofiche del Buddhismo, tolta dalle pregevoli notizie dateci, molti anni fa, dall’Hodgson e ripubblicate in questi ultimi anni nel giornale orientale The Phoenix, ci darà a conoscere come a quei varii modi di intendere la natura e il mondo male si possa adattare


  1. Max Müller, Dhammapada, p. xxxix e seg.