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202 | parte prima |
fetto e felice, se non quando è ritornato alla sua sorgente. Un tale concetto ricondusse, come si vede, alcune sètte filosofiche del Buddhismo all’idea brahmanica dell’assorbimento dell’anima umana in una esistenza divina e universale. Infatti lo spirito, secondo la scuola teistica, come abbiamo visto poco fa, non è che una parte dell’essenza di Adi-buddha. Il corpo, composto dei cinque elementi, perisce, lo spirito è eterno; il corpo è soggetto a trasformazioni ed è differente nelle diverse specie di animali, lo spirito non cambia ed è uguale in tutte le creture viventi. Cosicchè il sommo bene desiderato da quelli della scuola Aiçvarika è la Mukti o il Moksha, dove la loro essenza si unisce e si confonde nell’essenza di Buddha.
Il concetto di Nirvâna adunque, secondo la scuola Svâbhâvika, è l’assorbimento di ogni Essere in Sûnyata, che è il vacuo o il nulla;1 secondo la Prajñika ed altre è l’assorbimento in Prajña, Adi-prajña o Upaya prajña; e finalmente, secondo la scuola Aiçvarika, il Nirvâna è l’assorbimento o l’unione dello spirito con la «intelligenza primitiva», Adi Buddha, o con «l’esistente di per sè stesso», Içvara.
Epilogando quanto si è detto intorno al Nirvâna buddhico, si può stabilire:
I. Il Nirvâna, quale venne concepito dal Buddha e dai suoi discepoli, è la compiuta estinzione di ogni specie di esistenza, la distruzione di ogni facoltà attiva
- ↑ «Nel vuoto (sûnyatâ) non vi è, nè rûpa, nè vêdanâ, nè samjñâ, nè samskâra, nè vijñana (cioè nessuno dei cinque skandha); non vi sono organi dei sensi, e perciò nemmeno il manas o la mente; non gli oggetti sensìbili, cioè la materia (rûpa); non le idee (dharma)». (Mahâ-prajña pâramitâ hridaya sûtra, in Beal, A. Cut. of Bud. Scrip., p. 283.)