Pagina:Il Canzoniere di Matteo Bandello.djvu/215

Da Wikisource.
212 Matteo Bandello

     L’angelico concento vago e santo?
Questi pur son i ricchi suoi palagi,
     L’aurate logge, i palchi aprici e grati.
     Tren’anni in questi boschi in gran disagi
     40A quel servìo, a cui servir siam nati:
     E quanto lunge fu dalle cittati
     Dalle castella e ville,
     Dalle sonanti squille,
     Tanto più fue appresso
     45A quell’in cui lo cor avea già messo.
Che qui più volte il dolce a lei Maestro
     Apparve seco stando dolcemente,
     E ben che fosse il luogo duro e alpestro
     Rideva d’ogn’intorno lietamente.
     50Che dove il Re del cielo sta presente,
     Appar dolcezza e gioia,
     Fugge il martìr e noia;
     Ch’a Lui dinanzi mai
     Cosa non sta che dia tormento o guai.
55In ogni canto l’aria ancora spira
     Di quel favor celeste somma grazia,
     E con sì occulta forza a se mi tira,
     Che del terrestre mondo l’alma è sazia.
     Nè mai fa l’alma stanca
     60Anzi l’anima e affranca,
     E fa bramar la morte
     Per trovar quel ch’aprì del ciel le porte.
D’un certo non so che lo cor s’ingombra,
     Che mi fa gli occhi rugiadosi e molli,
     65E for del petto arditamente sgombra
     Quanti pensier ci son bugiardi e folli.
     Parmi che d’ogni banda questi colli
     Le quercie, i cerri e i faggi,