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Pagina:Il Canzoniere di Matteo Bandello.djvu/25

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24 Introduzione


Tre figure femminili sorridono fra queste carte rimate: ma della Viola, già vedemmo, non v’è che il ricordo soave e fuggevole; di Lucrezia balena il volto luminoso, nelle pagine ultime. La vera Donna o Madonna — «eroina», diremo secondo il vezzo bandelliano — del Canzoniere, è la Mencia. Ed è tempo, ormai, sulla testimonianza di queste rime, neglette dai critici, e non più raccolte in volume, di sgombrare il campo dai troppi dubbi che s’affoltano sugli amori del novellatore poeta. Non sarà più d’ora innanzi possibile fare della Virbia e della Mencia tutt’una persona; della Virbia con qualche fondamento identificabile con Ippolita Torelli-Castiglione, che appare in officio di donna gentile, quale non manca anche alla Vita Nuova di Dante.

Qual sia ’l mìo stato, non cercate udire,
Virbia gentil,. . . . . . . . . . .

le risponde, da lei interrogato, e le apre il suo cuore:

Amo chi me non ama, e ’l mio languire,
Disprezza. . . . . . . . .

disfogando l’ambascia del suo animo contro la Mencia, che «ride... sempre» e del suo mal non «le cale»; della Virbia, adunque, non amante, ma confidente del Bandello, e pietosa sua confortatrice. Men che meno può reggere l’ipotesi della identità della Mencia con Lucrezia, di fronte alle precise determinazioni dei Canti XI.

Quivi (c. VI) è richiamato, e rinarrato, come ricordo d’un tempo che fu, l’idillio con la Mencia:

In mezzo al Mincio poi sì t’attuffasti
     Che quasi ogn’altra cosa andò in oblio.