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Il Canzoniere 259


CLXXXVII.

Come il precedente in lode d’un signore prestante di forme, valoroso nell’armi e nelle lettere. Evidentemente si tratta della stessa persona, di Luigi Gonzaga.


Se del bel viso le fattezze belle,
     E l’altre membra a parte a parte i’ miro
     Dico che ’l biondo Apollo allor rimiro,
     4Così leggiadro e bel vi fan le stelle.
Ma come il gran valor aggiunto a quelle,
     Ed il pregio dell’armi penso, e ammiro,
     Onde vittorie sì famose usciro,
     8Marte convien per forza ch’i’ v’appelle.
Mercurio giuro poi che sete allora,
     Che ragionando d’eloquenza un fiume
     11Sparge il parlar, ch’acqueta ogni furore.
Qual meraviglia dunque se v’adora
     La bell’Italia com’un sacro Nume,
     14Per voi salir sperando al prisco onore?


Vv. 2-3. I’ miro... dico, considero ed ammiro. Nel precedente sonetto penso (proprio per le idee là espresse)... dico. Questi due sonetti sono le due parti di un tutto.

V. 3. Biondo Apollo, bellissimo, adunque, e armonioso di forme.

V. 6. Penso e ammiro, ecco i due verbi usati nel primo e in questo secondo sonetto e qui ripresi quasi a sintesi.

V. 9. Ai precedenti paragoni aggiunge quello, un po’ forzato, di Mercurio.

V. 11. Acqueta ogni furore, eloquenza suadente.

V. 13. La bell’Italia, è il dantesco «Suso in Italia bella...», Inf., XX, v. 61; e piace qui nel Bandello il sobrio, ma efficace accenno alle bellezze della patria italiana.

V. 13. Sacro Nume, nume indigete.

V. 14. Al prisco onore, alle glorie del bel tempo antico di Roma, signora del mondo.