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320 Matteo Bandello

     Talchè fra mille groppi e mille scogli,
     Errando corsi col mio fragil legno,
     Ch’al fin si ruppe in mezzo di duo fiumi,
     30Oppresso da tempesta e densa pioggia.
Lasso, che, lagrimando, fredda pioggia
     Me ’ngombra sì che le campagne e valli
     Son molli del mio pianto; e tutti i fiumi
     Prendon tributo da mia dura vita.
     35Il mar, turbato, ancor travaglia il legno,
     Tra l’onde incerte e i dubbiosi scogli.
Quando rammento i scogli — e l’atra pioggia.
     Che d’alto legno — mi sospinse in valli,
     Canzon, mia vita — fa de gli occhi fiumi.


V. 7. Rivi, ecc., le consuete retoriche enumerazioni più volte osservate.

V. 12. Girami, mi fa girare.

V. 26. Ne l'alto a l’amorosa vita, come chi dicesse in alto mare.

Vv. 31-34. La descrizione del dilagare delle sue lagrime è degna d’un perfetto poeta secentista.


XXIV.

È il sonetto che si legge nella novella dove il Bandello introduce Scipione Attellano a narrare «come il Signor Timbreo di Gardena essendo col re Piero di Ragona in Messina, s’innamora di Fenicia Lionata, e i vari e fortunevoli accidenti che avvennero prima che per moglie la prendesse» (I-22).
      In forma di sonetto-epitaffio essendo Fenicia stata creduta morta; fa da epigrafe sulla sua finta sepoltura.
      Questo e i quattro che seguono sono, a nostro avviso, da aggiungersi alle rime dettate dal Bandello per le ragioni esposte nelle pagine introduttive (vedi p. 28, nota).


Fenicia fu ’l mio nome, e indegnamente
     A crudo cavalier fui maritata,