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322 Matteo Bandello

torno al core se le inchiavò e sì fieramente lo strinse, che ella volendo non so che più oltre dire, cominciò a perder la favella e balbutire parole mozze, che da nessuno erano intese, e tutto insieme se le sparse per ogni membro un sudor freddissimo, in modo che incrocicchiate le mani si lasciò andar per morta» (p. 294).

Vv. 12-14. Iddio pregai. E la novella: «Poi con tutto il core lo prego divotissimamente che al signor Timbreo apra gli occhi, non perchè mi ritoglia per sposa, che a poco a poco morir mi sento, ma a ciò che egli, a cui la mia fede è stata di poco prezzo, insieme con tutto il mondo conosca, che io mai non commisi quella follia e sì vituperoso errore» (p. 294). E come avvenne, che l’innocenza rifulse e Fenicia fu sposa di Timbreo narra distesamente la seconda parte della lunga, anzi prolissa novella.


XXV.

È il sonetto-epitaffio con cui si chiude la novella dove il Bandello narra come «il cavalier Spada per gelosia ammazza se stesso ed anco la moglie perchè non restasse viva dopo di lui» (I-51).


La greca ch’ebbe il titolo di bella
     Per cui sossopra il mondo fu rivolto,
     A par di questa fu men bella molto,
     4Com’è del sol men vaga ogn’altra stella.
E se famosa di beltà fu quella,
     Di grazie e d’onestade in sè raccolto
     Ebbe il pregio costei di cui sepolto
     8Il casto corpo giace in questa cella.
Ebbe un marito, ohimè, crudo e feroce
     Che fuor di modo ingelosito s’era
     11Senza ragion aver del suo timore;
Che con man omicida orrenda e fiera
     Uccidendo se stesso, a simil croce
     14La moglie ancise ch’innocente more.