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il giugurtino 125

CAPITOLO XLIX.

Come Mario fu inanimalo di domandare il consolalo.

In quel medesimo tempo in Utica intervenne che, G. Mario sacrificando certe ostie agli Dii1 li disse il sacerdote indivinatore2 dell’altare che grandi cose e maravigliose si dimostravano e significavano di lui; e come tutto ciò, che egli in animo ripensava, sarebbe ajutato dagli Dii: e dissegli che egli molto la3 sua ventura spessamente si mettesse a provare, chè tutte cose gli verrebbono prospere. Egli già d’innanzi avea avuto molto desiderio del consolato, al quale avere, eccetto l’antichità de’suoi, tutte le altre cose erano sufficienti e abbondevoli: senno e prodezza4 d’arme grande scienza, animo di battaglia grande, casa di non molto aere e di poca spesa, della concupiscenza e delle ricchezze vincitore, solamente di gloria desideroso. Ma era nato e in tutta sua fanciullezza nutricato ad Arpino: e, poiché sua età polca essere acconcia a sostenere fatiche di battaglia, si diede ad uso, e a far frutto e operazioni5, non all’adorno parlar greco, nè a mundizie ovvero acconcezze cittadinesche: e così intra le buone arti il suo buono ingegno brievemente crebbe, e fu perfetto. Onde,quando egli prima domandò al popolo il tribunato militare (a)6, molti non conoscendolo in faccia, leggermente conto e famoso, fu dichiarato tribuno per tutte tribù (b)7. Poi da quella dignità si partoria un’altra, e poi un altro onore: e sempre in ciascuno onore si portava in tal modo, ch’egli era riputato degno di maggiore che quello eh’avea. Veramente infino a quell’ora un uomo di tal condizione non ardia domandare il consolato; ma poi per ambizione si diede a traboccare8. E a quello tempo gli altri onori dava il popolo, lo consolato davano gli grandi fra loro: niuno uomo nuovo era diventato sì grande nè sì famoso, ch’egli non fosse reputato indegno di quello onore. Dunque, quando Mario vide che li detti del sacerdote andavano a quel medesimo ch’egli intendea9 e che’l desiderio del suo animo confortava, domandò da Metello di audare a Roma per addomandare ciò. Ma Metello, avvegnaché virtù e gloria, e altre cose da disiderare a ciascun buono, ih lui soperchiassono, pur avea un animo dispregiatore d’altrui, il quale è comune male degli nobili uomini. Onde egli, prima, commosso di così disusata cosa, cominciossi a

  1. certe ostie agliDii)Ostia qui vale vittima.
  2. indivinatore k’oce antica,ed e lo skssoche indovinatore o indovino.
  3. C«>si abbiam corretto Va del testo.
  4. II latino ha probità*.
  5. si diede ad uso, e a far frutto e operazioni) Con queste parole par the il traduttore voglia significare che si dette a vita operosa, di azione, e fruttuosa; ma il testo dice solo: stipendiis fa ciundis. . . scse cxercuit, cioè che si dette a militare.
  6. (cioè capitaneria de’ militi).
  7. (cioè schiatte).
  8. ma poi per ambizione si diede a traboccare) Il testo Ialino ha: nani postea atfibitione praeceps datus est.
  9. li detti ec. andavano a quel medesimo ec.) Andare i sta insenlimcntodi tendere, mirare’, ed è stato registrato dal Manuazi nel suo Vocabolario con questo esempio,