Pagina:Il Catilinario ed il Giugurtino.djvu/19

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xii prefazione

resta quasi affogato, ed il lettore è in certo modo offeso dal veder che al suo ingegno niente non fu lasciato a sopperire. Nè vale il dire che i pensieri, che sono come le ossa ed i nervi del discorso, non altrimente che i nervi e le ossa del corpo son ricoperti e fatti belli dalle carni, debbono essi pure dalle locuzioni essere ornati ed illeggiadriti. Perocchè, come il soverchio di polpa toglie al corpo dell’animale la proporzione e la grazia delle forme, così il discorso dallo strascico di vane parole e d’inutili incisi è renduto lento, affannoso e stucchevole. Ma questi difetti, torno pure a ripeterlo, debbono esser mostrati a’ giovani molto cautamente da’ maestri, e con molto giudizio; altrimenti, in luogo di ammaestrarli nell’arte, li verrebbero dirizzando alla balordaggine ed alla sfacciatezza, ai quali pestiferi vizii sono essi già sospinti dall’esempio in questo nostro secolo ciarliero e baldanzoso. Onde è mestieri il far loro intendere che il poter discoprire qualche tecca o menda in un’opera di un autore, non dee far tosto stoltamente inferire nè che quell’opera sia lavoro da dispregiare, nè che quell’autore è un autor da dozzina. Perocchè da un difetto che si scorge in uno scrittore, il quale per molte altre parti è da lodare e da ammirare, quando ben si consideri ogni cosa, che altro siamo sforzati a conchiudere, se non che per questo sol mancamento quegli dir non si può perfetto scrittore? E non di uno o di un altro autore così avviene, anzi di tutti: che agli uomini non fu conceduto di far perfette in tutto le loro opere. Laonde allo stesso Michelangiolo, detto a ragione uomo di tre anime, perchè eccellente maestro in tre nobilissime arti, fu fatto, e non ingiusto, rimprovero di mostrarsi talvolta più anatomico che pittore, e di trascorrere pure nel rozzo. Gl’intendenti e pratichi dell’arte del disegno avvertirono, come sappiamo dal Lanzi, che Lionardo da Vinci, l’immortale autor della Cena, in alcune sue opere non usci dell’antica grettezza, e l’appuntarono altresì di soverchia cura e diligenza in condurre i suoi lavori. Il Lazzarini non temè di dire che Raffaello, a cui la natura suggellò nella mente l’archetipa forma del bello, anche cadde in errori; ed è primo tuttavia, perciocchè ne commise meno che altri. Nelle maravigliose pitture del Correggio ci è stato chi non ha lodato il disegno quanto in quelle di Raffaello; ed alcun altro avrebbe desiderato più delicatezza nella carnagione delle sue