Pagina:Il Catilinario ed il Giugurtino.djvu/230

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Frammenti 179

scuno ch’altri incominci, non dalle sue forze, che son deboli e guaste, ma dalla vostra infingardaggine siate presi, innanzi che voi lui non prendiate, e ch’egli non giunga ad esser tanto felice quanto osa di sperare. Dappoiché, fuori de’ suoi satelliti de’ suoi delitti bruttati, ci ha altri che voglia quello ch’ei vuole? chi anzi non vorrebbe che, salvo la vittoria, tutto non fosse mutato? Forse i soldati, col cui sangue Tarrula e Scirro, feccia degli schiavi, arricchirono? o si veramente coloro, a’ quali fu ne’ maestrati preposto Fufidio, bardassa infame, e d’ogni maniera di dignità vitupero ed obbrobrio? Sicché grandissima fidanza mi porge il vittorioso esercito, il quale con tanti stenti e ferite niente altro non si ha procacciato se non un tiranno. Quando pure a distrugger non sieno andati colle armi la tribunizia potestà fondata da loro maggiori, certo che i diritti e i giudizii a sè medesimi essi torrebbono ; e ben rimeritati si stimerebbero, quando, rilegati in boschi ed in paludi, tutto loro esser vedessero l’odio e gli oltraggi, e sol di pochi i premii e gli onori. A che dunque con tanto codazzo egli va e si baldanzoso? perchè le prosperità mirabilmente son coperta a’ vizii: le quali venute meno e svanite, quanto prima temuto, tanto sarà poi spregiato: se pure ei noi faccia sotto colore di concordia e di pace, nomi dati da lui alle sue scelleratezze ed al suo parricidio. Nè altrimenti ei dice poter il popolo romano por fine alle guerre, se la plebe non sia discacciata de’ suoi campi, preda civile acerbissima, e se egli non ritenga in sua mano il diritto e l’arbitrio di tutte le cose, stato già del popol di Roma. Le quali cose se pace e con-


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