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rale, in quella d’un gran principe in particolare: felice connubio di fierezza, melanconia e soavità, che m’incielo. Nė Pápa odiava nè altri, parendogli che i preti si governassero a filo di logica, abbenchè esiziali al paese: nè sognava vendette, ma emancipazione.

Appurai tre mesi dipoi, che cotesto gioiello di compagno di viaggio era uomo del mezzo ceto, e che Bologna ne aveva non pochi.

Ma io avevo già scritto nel mio taccuino quest’esse parole, datate dal cortile delle Poste, in piazza del Granduca a Firenze:

«Vi ha Nazione Italiana. Vi ha Nazione Italiana. Vi ha Nazione Italiana.»


CAPITOLO VII


La Nobiltà.


Un Italiano ha detto con fine ironia: « Chi sa se un giorno un potente micro scopio non iscoprirà nel sangue dei globicini di nobiltà. »

Appartengo troppo al mio paese per non far buon viso ad una piacevolezza di buon gusto; nè poi cotesti globicini di nobiltà offendono dirittamente la mia ragione.

I figliuoli ritraggono dal padre. I baroni del medio-evo legavano ai loro nati retaggio di qualità eroiche. Federico il grande piacevasi di ammogliar uomini di sei piedi a femmine di cinque e sei pollici, e dall’accop-