Vai al contenuto

Pagina:Il Libro dei Re, Vincenzo Bona, 1886, I.djvu/231

Da Wikisource.

— 214 —

La sua proposta accetto sì: mi è norma
In giudicar così de’ figli suoi
375Sì cari a lui. Ma s’egli a me chiedesse
La terra mia, di prenci e di guerrieri
Inclita sede, o il trono mio, degli occhi
Ancor la luce, e luce e trono e terra
Minore han pregio delle mie dilette
380Figlie ov’io più veder non le potessi
Nell’ora consüeta. Ed or, se tale
È il suo voler, non io vorrò sottrarmi
Ai cenni suoi, ma le mie figlie allora,
Sì come ei vuol, di mia famiglia antica
385Fuori usciranno. E se veder potessi,
Principe, i figli tuoi che alto splendore
Son del serto e del trono, e s’ei venissero
A me daccanto, luce allor ne avrìa
Questa mia casa tenebrosa, e lieto
390Di lor vista sarìa questo mio core,
Ed io ne ammirerei l’anime elette
E generose e accorte. Ov’io vedessi
Che ogni saggio pensier si annida in core
A que’ tuoi figli, d’alleanza in segno
395Porrei la mano mia nelle lor mani,
E le mie figlie a me dilette, i santi
Riti osservando di mia sacra terra,
A lor saggezza affiderei. Se poi
Alto desìo di rivederli in core
400A te venisse, a te rapidamente,
Iranio sire, ancor li invïerei.
     Gendèl facondo, poi che udì risposta,
Baciò il trono regal secondo il rito,
E dall’aula uscì fuor, pieno le labbra
405Di voti e auguri. Per tornarsi al prence
Dell’ampia terra egli si mosse, e giunse,
E ratto che a Fredùn fu nel cospetto,
Ciò che là vide e qual risposta intese,