Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/206

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palpitarono di gioia vedendole venire avanti, non più una dietro all’altra, ma insieme, silenziosamente, e invadere il cielo azzurro e oscurarlo, abbassandosi verso terra quasi appesantite dal carico che portavano in seno.

E, dietro i colli di Barrese, altre già ne spuntavano più cupe, più scure che salivano su spinte dal vento di levante mèssosi a spirare tutt’a un tratto, impregnato di umidore; e non appena queste si eran librate nell’aria uscite fuori dalla linea curva dei colli, altre si affacciavano, sormontavano lo spazio, incalzando le precedenti che affrettavano la corsa verso Ràbbato, coprendo con la loro ombra le campagne, le vallate illuminate dal sole, quasi ne divorassero lo splendore dorato di mano in mano che s’inoltravano verso le braccia tese incontro a loro, benedicenti quelle di esse già arrivate su Ràbbato e che passavano avanti frettolose.

E alle prime gocce di pioggia rare e stentate: — Viva! Viva la divina Provvidenza! — Non lo gridava soltanto quel centinaio di persone che parevano impazzite dalla gioia su la spianata del Castello, ma tutte le campane delle chiese squillanti a distesa, ma Ràbbato intera dai balconi, dalle finestre, dalle vie, dalle piazze dove la gente si era riversata per inebriarsi dello spettacolo della pioggia fina, fitta, e che ancora sembrava incredibile.

Nessuno pensava a scansarsi, tutti volevano sen-