Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/218

Da Wikisource.

― 214 ―

per altro ancora egli aveva talvolta la turbatrice sensazione di camminare su un terreno poco solido che avrebbe potuto, da un momento all’altro, sprofondarglisi sotto i piedi.

Si aggrappava a tutto per sostenersi; e, appena sentitosi di nuovo rassicurato, sorrideva di quei terrori, se la prendeva coi suoi nervi.

Che il marchese avesse i nervi irritati lo vedevano tutti. Guai a fare una piccola cosa che non gli andasse a verso! Lo sapevano, pur troppo! mamma Grazia, Titta, il massaio e i garzoni, l’ingegnere, i muratori e i falegnami che lavoravano a Margitello, e quei poveri contadini mal pratici nell’adoprare gli aratri di nuovo modello, non ostante le lezioni e i consigli da lui prodigati.

Erano due settimane che egli non tornava a Ràbbato, anche per evitare l’impaccio di una visita alla zia baronessa e di un abboccamento con Zòsima. Non poteva più dirle: — Non piove! — Acqua n’era cascata tanta, per due giorni e due notti di sèguito! E le terre già schiumavano, inverdivano, frettolose di far germogliare i semi delle erbe d’ogni sorta rimasti addormentati e inoperosi tra le zolle indurite.

Ma come pensare al matrimonio con quella fabbrica dello Stabilimento a cui egli doveva badare da mattina a sera, perchè si fosse potuto trovare pronto prima che arrivassero le macchine e i coppi e le botti da collocare a posto?