Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/258

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— C’è da perdere la testa!

Il marchese non sapeva dir altro. A chi doveva dar retta? Avrebbe voluto, con una gran scrollata di spalle, tornare almeno allo stato di una volta, quando pensava soltanto ai suoi affari e viveva a modo suo, da bruto, sia pure, ma in pace e affidandosi al caso che lo aveva servito bene fin allora. Ah! Il cugino Pergola gli aveva fatto un gran tradimento con quella conversione. Ma don Aquilante poi che cosa conchiudeva con le sue nuove dottrine? Parole! Parole! Parole!... Eppure i libri prestatigli dal cugino gli erano sembrati così convincenti! Perchè non doveva fidarsi della propria ragione?

E passò la intera nottata a rileggerli nei punti che più lo interessavano. Ahimè! L’effetto era assai diverso da quello ottenuto altra volta. Ora gli sembrava che quei libri affermassero troppo sbrigativamente, che gli sgusciassero di mano quando egli avrebbe voluto meglio stringerli in pugno. Interrompeva la lettura, rifletteva, ragionava a voce alta, quasi avesse là davanti una persona con cui discutesse, passeggiando su e giù per la camera, tentando invano di combattere i terrori che gli insorgevano attorno da ogni parte, e non soltanto a spaventarlo ma a irriderlo.

Un’inesorabile lucidità di coscienza lo faceva irrompere contro sè stesso:

— Eh? Ti sarebbe piaciuto che Dio non esistesse!