Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/273

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Egli non si era accorto dei canini che dormivano sul letto, dappiè, coperti da una piccola coltre imbottita. Svegliati dalla voce del marchese, sollevate le teste fuori dai lembi della coltre, si erano messi a ringhiare.

— Come? Dormono con voi, zia! — egli esclamò.

— Per tenermi caldi i piedi. Hanno freddo anch’essi, poverini!

Uscendo dal palazzetto della baronessa, il marchese esitò un momento, poi si diresse verso la casa del cugino Pergola. Si sentiva a bastanza forte contro le impressioni che vi avrebbe potuto ricevere. Era risoluto ormai.

— Prenderò il mondo com’è; farò come gli altri!

Non intendeva di voler essere un santo.

Il cavalier Pergola stava ancora a letto, ma senza berretto bianco calcato fin su le orecchie, senza empiastri attorno al collo riparato soltanto con un fazzoletto di seta. Di sul tavolino e di sul cassettone erano spariti i candelabri di legno dorato, le teche delle reliquie, il cordone di argento del Cristo alla colonna; e la sua parola suonava spedita quantunque la voce fosse un po’ rauca. Seduto sul letto, appoggiato al mucchio dei guanciali, egli raccontava in quel momento una fiaba ai suoi bambini, che si mostrarono molto malcontenti dell’interruzione prodotta da quella visita. Infatti, appena il cavaliere ebbe finito di raccontare come le tonsille gonfie