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Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/285

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Il marchese aveva già ripreso la sua vita di affaccendamento che lo faceva partire quasi ogni giorno per Margitello dove la vendemmia ferveva; e il raccolto delle ulive era vicino. Due volte egli aveva condotto la marchesa laggiù, altiero di mostrarle quelle macchine che luccicavano quasi fossero state di argento, e che tra poco avrebbero avuto un bel da fare; altiero di mostrarle la trebbiatrice tolta in prestito dal Comizio Agrario provinciale, che ingoiava i covoni con la larga bocca, immettendo dagli sbocchi posteriori il grano crivellato nei sacchi pronti a riceverlo. Ella aveva fatto sembiante d’interessarsi della trebbiatrice che una lunga correggia metteva in comunicazione col motore fumigante là accanto; di interessarsi delle macchine che da lì a non molto sarebbero state rosseggianti di mosto, unte di olio, sudice di morga, e più belle che non sembrassero ora con quell’aria di ordigni di lusso posti là, apparentemente, per delizia degli occhi.

Ma intanto che il marchese le faceva visitare ogni cosa, dando minuziose spiegazioni, esaltando la sua iniziativa, la sua aspirazione e descrivendo l’avvenire della Società Agricola, quasi non si potesse menomamente dubitare che esso dovesse essere quale appariva alla sua immaginazione o quale egli lo desiderava, Zòsima si sentiva sopraffare da un senso di delusione, da un’inattesa tristezza, cominciando ad avvedersi che ella era entrata nella vita di lui