Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/375

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— Sempre così! — confermò mastro Vito. — E una settimana fa, passando davanti a la mia bottega qui vicino si era fermato su la soglia. — Bravo! Di buon’ora al lavoro, mastro Vito! — Se non si lavora non si mangia, eccellenza! — Ah Signore! Che miseria siamo!

E mentre, non ostante la terribile rivelazione che faceva compiangere il povero Neli Casaccio condannato a torto e morto in carcere, la gente da due giorni s’impietosiva in vario modo della pazzia del marchese, soltanto Zòsima rimaneva inesorabile, inflessibile, sorda a ogni ragione.

— No, mamma, non posso perdonare!... È stata un’infamia, una grande infamia!... Non capisci, dunque? L’ha amata fino a diventare assassino per essa!... Te lo dicevo! Io non sono mai stata niente, oh niente! per lui.

— Ma che si dirà di te?

— Che m’importa di quel che si dirà? Voglio andar via! Non voglio restare un altro solo giorno in questa sua casa... Mi fa orrore!

— Anche questa è pazzia! Sei la moglie. Ora egli è un infelice, un malato...

— Ha tanti parenti, ci pensino loro! Qui c’è la maledizione! Mi sento morire! Mi vuoi morta dunque?

— Oh, Zòsima!... Gesù Cristo ci comanda di perdonare ai nostri nemici.

— Sta’ zitta tu!... Non puoi intendere tu!