Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/43

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conduceva al piano di sotto, cominciò a scendere. La testa le vagellava talmente, da sentir bisogno di appoggiarsi al muro per non ruzzolare gli scalini.

— Voglio saperlo! Dalla sua bocca voglio saperlo!

E attraversava altre stanze quasi vuote, e spalancava altri usci, fino alla cameretta laggiù, in fondo, dove aveva dormito nei primi mesi, allora! e dove era restata parecchie settimane quasi nascosta, vergognandosi di farsi vedere per le stanze da mamma Grazia, da Rocco, dalle altre persone di casa.

E nell’atto di stendere la mano al pomo di rame dell’uscio, quasi la parete fosse sparita a un tratto, le parve di vedere il lettino con la coltre bianca, e il tavolino con lo specchio, e il lavamano di ferro, e le vesti appese al muro, e la cassa nuova di abete, tinta in verde, allato all’uscio, con la biancheria che ella si era cucita da sè, con le calze che si era lavorate da sè a casa sua, prima che il marchese si risolvesse di farla venire là, seccato di andare da lei, di notte, a ora tarda, in quel remoto vicoletto dov’ella abitava...

Stese la mano. L’uscio resistette.

— Chi è?... Mamma Grazia!...

Quella voce grossa di stizza l’atterrì.

Se ella avesse risposto e si fosse fatta riconoscere, il marchese certamente non avrebbe aperto. E girò di nuovo il pomo, quantunque avesse già capito che l’uscio era chiuso dall’interno.