Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/47

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tevo: — Mi lasci stare! Mi lasci stare! — E mia madre piangeva, poveretta: — È la tua disgrazia, figlia mia! — È stato vero! Che m’importa se ora non mi manca niente? Casa, oro, roba, voscenza può riprendersi tutto.... Un’altra non parlerebbe così! E intanto la baronessa — il Signore la perdoni! — dice che io vengo qui per tornare di nuovo con voscenza, per.... Mi vergogno di ripetere quel che mi ha rinfacciato!... Quando mai? Quando mai?... Neppure allora che voscenza, ogni giorno: — Sei la padrona qui, sarai sempre la padrona!... — Oh, non si arrabbi!... Me ne vado!... Tutto avrei potuto credere, non questo di vedermi trattata così! — È la tua disgrazia, figlia mia! — Mia madre aveva ragione!

— Zitta! Zitta! — urlò il marchese.

Ella uscì, più turbata e più smarrita che non fosse venendo, e con qualche cosa nel cuore che somigliava a un rimorso.

Quei torbidi sguardi del marchese le erano penetrati nelle carni come lama ghiaccia, l’avevano frugata ne le più intime profondità della coscienza dove ella stessa non osava di guardare; e le sembrava che vi avessero già scoperto la infedeltà che stava per commettere e che avrebbe certamente commesso, se il fucile dell’assassino non avesse colpito Rocco Criscione tra le siepi di fichi d’India di Margitello, mentr’ella lo attendeva alla finestra, al buio, come si attende un amante!