Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/70

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striscia di luce rossiccia aveva rischiarato per alcuni istanti il soprapporto dell’uscio di faccia, e il marchese aveva strizzato gli occhi per distinguere le figure annerite di quel Giudizio di Paride malamente dipinto, cercando di distrarre anche con questo la sua attenzione dalla predica che la baronessa aveva cominciato a fargli e che minacciava di non finire più! Poi, nella penombra della sera e mentre la zia gli evocava quel ricordo di giovinezza quasi scancellato dalla sua memoria, egli si era sentito prendere da una sottile angoscia di rimpianto che gli increspava la fronte e lo induceva a interromperla con quel: — Ma zia! — che non era un diniego, nè una protesta, e non poteva avere nessuna efficacia per impedirle di continuare:

— Lasciami dire; parlo per tuo bene.... Io la vedo spesso, da anni. Sempre la stessa! Vestita sempre di scuro, come una vedova, poveretta! E silenziosa, specialmente dopo il tracollo della sua famiglia, che è nobile quanto la nostra, nepote mio... Faresti la felicità tua, e anche un’opera buona! Dignitosa, anzi orgogliosa in quella miseria che deve nascondersi, mai un accenno di te e della sua ostinata speranza. E quando io gliene parlai, tempo fa, divenne, prima, rossa rossa, poi impallidì, rispondendo soltanto: — Ormai, baronessa! Sono vecchia! — A trentadue anni? Non è vero. È fina, delicata, signorile. E quando sorride, sembra che tutta la sua