Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/89

Da Wikisource.

― 85 ―


Don Silvio, interrompendo la recita dell’ufficio, era stato costretto a puntellarla con un pezzo di tavola e con una stanghetta. Ma quantunque rassicurato, si arrestava spesso a metà d’un versetto di salmo, e si sentiva diventare piccino piccino a quegli ululi, a quegli impeti fischianti che facevano fin tintinnire, a intervalli, la piccola campana del vicino monastero di Santa Colomba, e buttavano, di tratto in tratto, sul selciato della via qualche tegola o qualche vaso da fiori che vi si fracassavano con pauroso rumore.

La sua casetta a un solo piano, all’angolo del vicoletto breve e contorto, investita da un lato dal vento di levante e, di faccia, dal tramontano, sembrava vacillasse. Tutti gli usci delle stanze si agitavano e i vetri delle finestre e del balconcino trabalzavano, e sul tetto era un continuo acciottolìo di tegole, quasi vi spasseggiasse a salti un grosso animale.

Don Silvio levava gli occhi dal breviario, tendeva le mani giunte alla Madonna Addolorata appesa al capezzale del lettino, invocandola, o si rivolgeva al crocifisso di ottone che aveva davanti sul tavolino:

— Sia fatta la vostra santa volontà, Signore! Abbiate pietà di noi, Signore!

E si sarebbe detto che i venti, indispettiti di quella preghiera, assalissero allora con maggior violenza la casetta, e urlassero con più forza dietro la