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Pagina:Il Marchese di Roccaverdina.djvu/93

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Così, durante uno di questi intervalli, egli potè udire benissimo le gravi parole che il confessore gli rivolgeva a bassa voce, dopo di averlo aiutato a recitare il confiteor.

— Dimenticate ora la mia povera persona e il misero luogo dove vi trovate. Al cospetto di quel Dio che vi legge nel cuore, e che è Padre di misericordia e di perdono, confessate umilmente le vostre debolezze, i vostri falli, giacchè la sua santa grazia vi ha spinto a questo atto per la vostra eterna salute.

La voce di don Silvio aveva preso un accento solenne; e il marchese che, quantunque ginocchioni, si trovava con la fronte all’altezza della testa del prete sorretta da un braccio appoggiato al tavolino, rimase stupito della severa dignità di quel viso pallido, emaciato dai digiuni e dalle penitenze, che nelle circostanze ordinarie aveva un’umile espressione di sorridente dolcezza e di bontà quasi femminile.

Per vincere quest’impressione che lo aveva assai turbato, il marchese aspettò che il vento riprendesse a soffiare e a urlare; e giusto nel momento in cui parve che esso volesse trascinar via nella sua furia tutte le case del vicolo, balbettò:

— Padre, ho ammazzato io Rocco Criscione!

— Voi! Voi! — esclamò don Silvio con voce tremante, sollevandosi a metà da sedere, tanto gli era sembrato enorme quel che aveva udito.