Pagina:Il Novellino di Masuccio Salernitano.djvu/300

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do bosco, difeso da nodosi tronchi e pungenti spine quivi da loro naturalità prodotti; l’entrata del quale quanto a me, che solo e inerme mi vedea, fosse spaventevole e dura, ciascuno sei può considerare. E certo dal timore quasi perterrito il mio fervente disio si cominciò ad intepidire, e più volte a volgere i miei passi indietro fui vicino. E così confuso stando mi apparve dinanzi un vecchio con prolissa barba di canuto pelo ornata, il quale nel primo aspetto di gran presentia e di veneranda autorità il giudicai, la forma e abito del quale non pareva umana, ma più tosto a deità celeste sembiava. E io che mi ricordava in marmorea scoltura averlo de sua natural forma veduto ritratto, conobbi di tutto lui essere Mercurio eloquentissimo Dio; per la cui apparenza il mio timore fatto maggiore, non solo non ardia d’appressarmegli, ma anco in volto guardarlo dubitava. Di che da lui cognosciuto il mio dottare, da sé medesimo con piacevol vista rassicuratomi, e con sue soavi parole chiamandomi per nome, datami non piccola baldanza, mi disse: Masuccio mio, come tu a te medesimo puoi render maggiore testimonianza, da li teneri anni ti ho cognosciuto più de ingegno che de lettere da la natura dotato; e al presente vedendoti sì di pensieri carico e confuso star per entrare in questo devio e ombroso bosco, e con la venente parte de la tua operetta remordendo la malignità e infinite scelleragini de inique femmine, volere quelle mordere e crucciare, sono costretto ad avere di te compassione. Darotti adunque maniera, ancora che tanto difficultoso te pare il camminare, come facilmente possi in tale travagliato laberinto entrare, e da quello uscir