Pagina:Il Novellino di Masuccio Salernitano.djvu/347

Da Wikisource.

— 285 —

Nondimeno lui era continuo dal padre della giovene con grandi e avantaggiati partiti di tal parentela molestato, il quale ancora che niuno ne accettasse, pur con grande arte tenea il fatto in tempo per vedere se gli potesse in tali trame il suo pensiero riuscire: ed ingegnandosi di avere alcuna pratica con alcuno di casa de la giovene, non possendo con altro suo domestico, la pigliò con un moro nero del padre, chiamato Alfonso, giovine, e come nero assai di bono aspetto, il quale con una gran catena serviva a portar in spalla per prezzo ciascuno che del suo servizio bisognava: e più volte con colorata cagione del suo ministerio a casa lo conducea, facendogli di molte carezze, e dandogli ben da mangiare, e alcun danaro da godere, e in maniera tale adescandolo che Alfonso era deventato assai più suo che del patrone. Il che parendo al giovine posser pigliare di colui ogni securtà, gli cominciò a dire che a la sua madonna il recomandasse, e in quello continuando gli disse un dì: Alfonso mio, io non sono costretto ad avere invidia di altri che di te, per averti la fortuna concesso a ogni tuo piacere e vedere e parlare a la tua madonna. E con simili e altre assai appassionate parole l’andava di continuo tentando per audirlo e servirlo del suo desiderio1. Di che il moro, che alquanto prudente era, e già in casa aveva sentito ragionar della parentela che il suo padrone con tale giovine cercava di fare, parendogli un gran mancamento che un tanto virtuoso e costumato gentiluomo sotto nome di matrimonio fosse in tale ingannevole rete avviluppato, un dì col suo male limato idioma gli disse che di tale amore

  1. Forse indurlo a servirlo.