Pagina:Il Novellino di Masuccio Salernitano.djvu/351

Da Wikisource.

— 289 —

io porto addosso, e che sono in questo letto, i quali a te sono stati insino a qui sì cordiali e odorevoli e soavi, che mi costringono a fuggirmi via: e però togliti presto da qui, e chiama il tuo degno amante che nella stalla dimora; e occultamente mi tragga da questa tenebrosa carcere che più dimorarvi non posso. L’afflitta e miserissima Geronima, che a la prima parola lo avea ottimamente cognosciuto, se avesse avuto un cortello si avrebbe volontaria di vita privata; pure mentre che colui avea parlato, lei senza rispondere a una sola parola non era mai rimasta di amaramente piangere: a la fine per fare il suo volere dal letto toltasi, e chetamente chiamato il moro, e come il giovine volse tutti due pose fuori di casa, e serrato l’uscio, dolente a morte, e con tante lacrime che una fonte ne averia rimasta vuota, a la sua camera se ne ritornò, ove con colorate cagioni de continuo dimorando, o che dolore o veneno lo avesse causato, in brevi dì morì. Il nobile giovine avendo il fatto divulgato, e del castigo e della morte avuto mirabile piacere, ricomparato il moro e posto in libertà, lui anco libero e sciolto d’amore gran tempo con felicità visse godendo la sua fiorita gioventù.


MASUCCIO.


Chi più dunque sarà omai incredulo ascoltando qualsivoglia coronata ribalderia di femmine, le raccontate per la mente rivolgendosi, che non gli parrà con gli occhi averla veduta? Io da la vergogna di me medesimo raffrenato, che pure come gli altri da femmina sono uscito, mi rimango di dire quando loro assalite da la gran foia e sfrenata rabbia per me-

Masuccio. 19