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a fronte 173

d’ombra passò sul sasso enorme, sul monastero, sul parapetto cui Noemi aveva appoggiato i gomiti, contemplando.

«Questo è magnifico» diss’ella. «Lasciami fermare un po’ qui almeno, ora che c’è ombra!»

Ma in quel momento, a due passi da loro, si apriva la porticina del monastero e ne usciva una compagnia di stranieri, signori e signore. Il monaco che li aveva guidati, vedendo Jeanne e Noemi, tenne aperto l’uscio in atto di aspettazione. Jeanne si affrettò a entrare e Noemi, mal suo grado, la seguì.

«Affreschi del Trecento» disse il benedettino nell’oscuro corridoio di entrata, con voce indifferente e passando. Noemi si fermò, curiosa delle pitture antiche. Jeanne tenne dietro al benedettino, senza guardare nè a destra nè a sinistra, distratta, tentata da un dubbio. Se l’Abate non avesse detto il vero? Se lo avesse detto l’accattone? La fantasia le rappresentò l’incontro felice nel cortile di Praglia, il viso pallidissimo di lui, il «grazie» che l’aveva fatta tremar di gioia. Le correvano brividi nel sangue e, come per una strappata di redini all’immaginazione, si voltò a Noemi:

«Vieni» diss’ella.

Seguì il monaco nulla udendo di quello ch’egli diceva, nulla guardando di quello che indicava. Noemi dissimulava a fatica le proprie inquietudini.