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370 capitolo settimo


Giunto colla sua guida sullo scalone, Benedetto, credendosi oramai libero di scendere, le chiese un po’ d’acqua.

«Acqua?» rispose l’usciere. «Non posso andarne a prendere, adesso. Sua Eccellenza aspetta. Favorisca qui.»

Lo fece entrare, con sua meraviglia, nell’ascensore.

«Anzi le Loro Eccellenze» diss’egli; e mentre l’ascensore saliva al secondo piano, venne guardando Benedetto come si guarda qualcuno cui è fatto un grande onore e che non pare meritarlo. Giunti al secondo piano, i due attraversarono una grandissima sala semioscura. Da questa sala Benedetto venne fatto passare in una stanza illuminata così riccamente ch’egli ne provò fastidio e sofferenza, ne rimase quasi acciecato.

Due uomini, seduti ai due angoli di un largo canapè, ve lo attendevano in attitudine diversa; il più giovine con le mani in tasca, una gamba a cavalcioni dell’altra, il capo rovesciato sulla spalliera; il più vecchio col busto piegato in avanti e le mani occupate in un continuo blando maneggio alterno della barba grigia. Il primo aveva una guardatura sarcastica; il secondo l’aveva scrutatrice, malinconica, buona. Questi, evidentemente il più autorevole dei due, invitò Benedetto a sedere sur una poltrona di fronte a lui.