Pagina:Il Sofista e l'Uomo politico.djvu/149

Da Wikisource.
138 Il sofista.

For. Ma pure sappiamo che ogni anima, in ciò in che si inganna, si inganna contro voglia.

Teet. Proprio così.

For. L’ingannarsi infatti non è altro se non un’aberrazione dell'anima che tende alla verità, [D]per effetto d’una traviazione del giudizio.

Teet. Certamente.

For. L’anima insensata pertanto la si dee ritenere brutta e sproporzionata.

Teet. Pare di sì.

For. Si dànno adunque in essa, come è chiaro, queste due specie di mali, l’una quella che dai più si chiama malvagità, ed evidentemente è una sua malattia...

Teet. Sì.

For. L’altra poi la dicono inintelligenza, ma che sia malizia, se è da sola1 nell'anima, non vogliono ammetterlo.

[E]Teet. Bisogna proprio che io ti consenta, ciò di che appunto dubitavo testè mentre tu parlavi, che due sono le specie dei mali dell’anima, e che la viltà, la sfrenatezza l’ingiustizia sono da considerarsi tutte in noi come morbo, e che il caso dell’inintelligenza in ogni sua diversa manifestazione2 è da ritenersi una deformità.



  1. κακίαν δὲ αὐτὸ ἐν ψυχῇ μόνον γιγνόμενον οὐκ ἐθέλουσιν ὁμολογεῖν. Non si capisce come quel μόνον abbia dato tanta noia agli interpreti: benissimo l’Heindorf: “quando in animo hoc solum exstat„, cioè l’ignoranza sola.
  2. La κακία dunque si divide in πονηρία e ᾰγνοια più inintelligenza che ignoranza: ignoranza di ciò che