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24 italia artistica

sette che, se lo comportasse l’indole della nostra pubblicazione, meriterebbero tutte di essere illustrate per le loro storiche ricordanze, come per le opere d’arte che conservano. Colle chiese dovremmo pure ricordare le ville di remota costruzione nelle quali si svolse tanta parte della vita fastosa della società fiorentina.

Ma procediamo oltre e soffermiamoci appena al Ponte a Greve, una singolare costruzione del XIV secolo a tre grandi archi di pietra che nel serraglio portano gli stemmi della Repubblica, mentre un vaghissimo tabernacolo di stile ogivale s’inalza da una delle sue pile e racchiude un bel fresco de’ primi del XV secolo.

Poco lungi di qui, sulla riva stessa del fiume, che scende dalle alte poggiate del Chianti ricoperte di vigneti che producono in abbondanza i vini universalmente celebrati, è un fiorente villaggio di moderna origine, Scandicci, capoluogo di un vasto comune costituitosi coi territori di due delle 72 Leghe nelle quali era ripartito il contado fiorentino: Casellina e Torri. Oltrepassato il ponte, la via Pisana lascia alla sua sinistra un elegante e caratteristico castelletto, tuttora munito di due massicce torri, ornate di merli ghibellini: il castello di Calcherelli, chiamato più modernamente l'Acciajuolo, che fu dei Davizzi, la potente famiglia che ebbe in Firenze il severo palagio in Via Porta Rossa, passato dipoi nei Davanzati. Calcherelli, ch’è oggi una casa di fattoria, evoca il ricordo di un truce dramma che vi si svolse negli ultimi anni della libertà fiorentina. Neri di Piero Davizzi per odio contro la moglie che teneva quasi prigioniera in questo cupo maniero avito, le propinò il veleno, e siccome questo non agiva colla desiderata celerità, egli si rivolse a medici e poi ad un ciurmatore perchè gli dassero modo di raggiungere l’intento. Scoperto il delitto, il Davizzi fu condannato il 25 giugno del 1521 alla reclusione perpetua nei sotterranei del Maschio di Volterra; ma egli era nobile e potente, aveva altissime aderenze e poco tempo dopo potè ottenere che la pena gli fosse commutata nell’esilio da tutto il dominio fiorentino, al di là di cento miglia dai confini.

Una piccola catena di deliziose colline che divide le valli della Greve, del Vingone e della Pesa si spinge colle sue pendici verso i piani ubertosi e vi s’interseca come le volute e i meandri di una trina e su quei colli, parte ridotti a coltura, parte coperti tuttora da verdi boscaglie, sorgono leggiadri villaggi, quiete chiesette, deliziosi palazzi di villeggiatura.

Sopra ad una prominenza che domina il piano di Settimo, è la chiesa di S. Mar-