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26 IL BUON CUORE


mo, al Palazzo Giovio, sulla cui facciata oggi campeggia la scritta «Museo Civico», si inducesse a entrarvi, a pian terreno e a mano sinistra, l’una corntigua all’altra, vedrebbe, anzi ammirerebbe due sale, delle quali una, la più vasta e sontuosa, dedicata ad Alessandro Volta, l’altra a Giuditta Pasta.

Comaschi entrambi, l’uno per nascita, l’altra per adozione, dopo di avere per diversissime vicende raggiunto entrambi il fastigio della gloria, e con mezzi tutto affatto differenti, beneficata l’umanità, oggi Volta e Pasta rivivono l’uno accanto all’altra, nelle memorie che di loro restano e che con cure diligenti, con intelletto di amore raccolte e ordinate, costituiscono nel loro assieme una delle cose più interessanti che si offrano allo studio ed alla curiosità del forastiero.

Già fu fatto un cenno del Museo Voltiano recentemente aperto: nulla ancora fu detto della raccolta delle memorie di Giuditta Pasta: se oggi posso completare ciò che fu detto del primo e dir qualche cosa non del tutto priva d’interesse della seconda, ne sien rese grazie alla cortesia squisita dell’avv. Cencio Poggi che in una minuta visita di entrambe le sale, mi fu guida intelligente e paziente: sopratutto paziente.

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Di grazia, seguitemi: usciamo dalle sale di Volta e dal portico le cui pareti sono rivestite di frammenti lapidari numerosi e preziosi, entriamo a mano manca in un’altra sala.

Un’alta, una stupenda figura di donna, staccandosi dallo sfondo nero di una tela, vi viene incontro, e per la maestria del disegno e del colorito vi par d’udirne l’accento, mentre lo sguardo si scuote e si commove.

Quella donna, vestita di nero, in atto tragico, è Giuditta Pasta, e chi la dipinse così è il grande pittore russo Bouloff.

Levate gli occhi dal quadro, li girate attorno per la sala, li posate sulle vetrine che vi circondano e tutto vi parla di Giuditta Pasta, della celeberrima attrice che nata a Saronno il 26 ottobre 1797, moriva a Como nell’aprile del 1865.

Ecco qui una prima vetrina isolata, nella quale assieme ai ritratti di parecchi degli autori, sono disposte le lettere di molte tra le più grandi celebrità che hanno reso omaggio alla somma attrice.

Ecco lettere di Bellini, di Thomas Moore, di Cristina Trivulzio di Belgioioso, di Henriette Santos che si firma «Cantatrice de la Cour royale de Berlin», della celebre ballerina Taglioni che scrive Madamme e mes respect, prova evidente che se sapeva lavorare stupendamente coi piedi, scriveva anche il francese, per lo meno, coi medesimi. Seguono lettere della famosa rivale della Pasta, la Malibran.

Il principe Marino Torlonia, la principessa di Galikin, il principe Jablouwski, le Vicomte de Noaille, il principe Luigi Gonzaga, il duca di Gaeta, portano tutti in un modo o nell’altro l’omaggio delle più elevate classi sociali alla «diva», mentre alla sua arte ed ai suoi vezzi non si mostrano restii uomini gravi come François
Cousin e Melchiorre Gioia che chiude una lettera alla Giuditta scrivendole «amami e credimi tuo aff.mo»; Cicognara, lo storico; Davide Bertolotti, il traduttore di Eschilo, i poeti e gli artisti in genere sono pure largamente rappresentati in questo omaggio mondiale all’arte della Pasta: mi basti ricordare Camillo Sivori, il grande violinista, Giacomo Meyerbeer, Francesco Hayez, Giovanni Pacini, Carlo Botle, Mercadante, Paer, Tommaso Grossi, Giambattista Bazzoni, Longhi, il celebre incisore di Monza, Cesare Betteloni, Felice Romani, il Raiberti che indirizza alla Pasta un sonetto inedito graziosissimo, lo Zingarelli, maestro di Rossini, Rossini, Donizetti e il suo maestro Simone Mayr, Paganini, ecc.

Mai forse fu riunita collezione più preziosa di autografi di celebrità, tutte viventi in uno stesso periodo di tempo e tutte prone dinanzi alla fascinatrice virtù del canto e del porgere di una donna, tanto celebre e bella, quanto buona e virtuosa.

Perchè — e questo è il secondo punto per cui si toccano A. Volta e G. Pasta — anche la Pasta pur in mezzo ai trionfi che otteneva in ogni città d’Europa, nonchè soffocati, serbò più vivi ed intensi gli affetti di famiglia, ad essa tornando col desiderio precisamente come abbiamo visto tornarci A. Volta dopo gli onori tributatigli da Napoleone.

Basta, per persuadersi di ciò, dare una scorsa alle lettere che la Pasta indirizzava alla sua mamma o alle sue figlie dal teatro dei suoi trionfi maggiori e che qui sono esposte.

In una, datata da Torquay in Inghilterra, per aver ricevuto notizie dei suoi, scrive alla madre: «provo tuttte quelle contentezze che posso avere lontano da voialtri e vado alle prove col musino meno lungo».

In un’altra, datata da Mosca e pure indirizzata alla mamma, dice di aver sempre presenti i suoi consigli e soggiunge: «Ogni ora che mi tocca andare innanzi bisogna rinnovare il rosario composto di coraggio e pazienza, pazienza e coraggio».

In una terza, dopo di aver modestamente scritto dei suoi successi parlando di un concerto dato in patria — forse quello a prò del ricovero industrie e mendicità, ricordato nell’epigrafe che sta nel vestibolo del Teatro Sociale di Como — scrive, dolendosene: «mi sono mostrata ai mie compatrioti ciò che non sono, li ho ingannati senza volerlo».

E la nota pia è data da un’altra lettera in cui la grande artista dice di essersi «affidata ai suoi angioletti» prima di andare a un concerto.

Fin che me ne ricordo, noto che parecchie delle lettere della Pasta portano nella testata le vedute dei luoghi d’onde provengono; il che verrebbe a confermare anche in tema di «cartoline illustrate» il vecchio motto «nil sub sole novi».

Interessante la collezione di figurini teatrali, abiti, ornamenti muliebri, gioielli, ecc., di cui la Pasta si serviva sulle scene: come pure alcune miniature sue e dei suoi ammiratori. Tra queste notevole una di Rossini che ci rivela cosa che non credo nota, essere stato cioè l’autore del Barbiere affetto da strabismo.

Riuscirà di sorpresa al visitatore il trovare tra questi