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IL BUON CUORE 99


egli raccoglieva così, che in quei momenti, che reclamavano una mirabile unità, uscisse ad un punto re e sacerdote della città afflitta.

Noi possiamo argomentare la grandezza di quel momento e di quel cuore: l’arrivo del Vescovo a quella regione di dolore, preparata per le grandi giustizie dell’Eterno, con quell’altare a santificarvi ogni gemito, con quel funereo campo così pronto a ricevervi il mestissimo tributo!... e quell’uscirne e protendersi di mille volti, di mille braccia verso il Santo! Che ora, unica nella storia degli umani dolori, che solo attesta una città santificata dalla pastorale carità quando al grave suono dato dal maggior tempio, fosse pur alta la notte, tutti sorgevano d’accanto alle vegliate coltrici, s’affacciavano alle finestre, e giugneano le mani e ancor superstiti vedeano il cielo; e pregavano, pregavano e quella dolente armonia di bimbi, di vergini, di vecchi, di sacerdoti si mescea come una prece sola e saliva a disarmare Iddio! Diteli, diteli questi i veri momenti della carità e della religione; dite se fu mai bella altrove una pubblica sciagura! — Oh! si moriva nella Svevia, nel Badese, nell’Alsazia, nel Palatinato: ma vi morivano col ferro imbrandito, ma quel ferro non doveva ripulirsi che dopo due secoli d’immolazione... ma il monaco, che accese le ire terribili della plebe, non era venuto, in nome di Cristo, a recarsi in braccio un morente! E quando il contagio visitava quelle terre già infelici della Germania, quando s’addensavano intorno a lui implorando la Santa Cena, veniva risposto: «Che era peso troppo grave ai ministri, che la Chiesa non è una schiava!» Oh qui nella città nostra, dove i miseri muoiono nelle braccia dei sacerdoti di Carlo, qui dove si ama fino alla morte, qui dove si geme, si piange, ma si spera, si perdona, si soffre per amore di G. C., qui è la vera chiesa riformata.

Potenti vibrazioni di carità trascorrono tutto il campo della Chiesa; vi suscitano le anime di Francesco di Sales, del Neri, del Miani, di Giovanni di Dio, del Calasanzio, di Camillo de’ Lellis, del Gonzaga, di Vincenzo de’ Paoli, vere figliazioni della Sposa di Cristo, improntate delle sembianze dello Sposo; — ma fra tutti eccelso il Borromeo, sulla cattedra episcopale, con una missione universale; il Borromeo, anch’esso martire della carità ad adeguare così l’Episcopato di quegli antichi, che furono ad un punto, apostoli, dottori, martiri. Poichè ella venne un’ora mestissima, affrettata da tanto patire, un’ora in cui l’olocausto si consunse, e il molto pianto e il gemito di un popolo intero non potè trattenere quell’Anima santa, che elevavasi dalle povere membra — e sorse, e ascese vibrata dall’amore, fra le miriadi angeliche, e posò ai piedi del Trino Ineffabile.

Il martirologio dei paesi riformati chiudevasi prima di Lutero: il primo nome lo attende da un’infinita misericordia di Dio.

O santa Religione cattolica, noi ci stringeremo sempre a te più vicini dacchè Carlo ci univa di vincolo indefettibile: invano nella terra di Carlo si vorrà plasmare una dottrina, che non sia la sua. Qui di fronte a tanto desiderio di bene, che anima questo eletto sacerdozio,
più Chi 1 ne è capo e fu deputato a continuare la missione di Carlo, qui oggi s’invoca, si grida alla scienza. — Sia pure scienza sulle labbra del sacerdote..., ma la sola scienza ci dà dei falsatori di virtù — degli agitatori funesti delle passioni popolari, dei concultatori sistematici del genere umano. Vengano, vengano anche le tribù divise da noi, or che la nostra età, dominando i tre secoli, che sono corsi, vede pure le trasformazioni ed il precipitare ormai di quel fatale errore; nè i vani fulgori di una civiltà materiale e i progressi tutti della vita non c’illudano sulla rovina dei costumi, che dovette conseguire alla rovina della fede.

Vengano; nelle due terre che furono le terre natali della riforma, l’Elvezia e la Germania, due potenti associazioni cattoliche, due forti drappelli si sono accampati all’altissimo fine, e portano ambedue un nome venerato, portano il nome di Carlo Borromeo. Le fecondi la carità di Carlo, fecondi quelle terre la Croce di Cristo, che non hanno ancora inalberata, e a prezzo di gaudio di dolore — non importa — venga il giorno di riabbracciare i fratelli, di mescolarci nei baci della pace, a conforto del Romano Pontefice, al trionfo della Chiesa, alla gloria di Dio.



  1. Monsignor Romilli Arcivescovo di Milano.


GESÙ NEL DESERTO

(Visione mystica).

Alta su l’orizzonte la pallida luna risplende.

Nel deserto de li uomini erra deserta un’Anima.

Cadono de la Notte — su l’aride sabbie — i vapori

(vaghe perle lucenti) a la luce de l’astro,

e su l’Anima triste incombon le umane sciagure

(oh scintillanti lagrime!) de la coscienza a’l lume.

Ha due pianti il deserto: e vïa per l’aura silente

de la Terra e de’l Dio i due pianti s’effondono.

Alta su l’orizzonte la luna soffermasi e guarda.

La Vittima deserta ne’l deserto sospira.

O grandi occhi divini (scorreano le fulve chïome

per le madide guancie — sangue il fronte stillava)

oh come rilucenti di Fede, oh di duol come tristi,

su pe’ i sereni azzurri vi volgeste de’ cieli!

E Gesù Cristo prega: «Turbata è l’anima mia

«e di mestizia in fino a la morte è ripiena!

«O Padre mio, ritogli da me questo calice amaro,

«se’l puoi! pur non il mio, ma il voler Tuo, si compia!»

(Chino il volto, il supremo responso de’l Padre attendendo)

«Anima mia! (prorompe) oh, come triste! O Padre,

«Padre mio non lasciarmi!» E il prego medesimo, un giorno,

de’l mystico oliveto fremerà fra le fronde).

Spira su pe’l deserto un soffio di pace solenne:

alta la luna come estasiata guarda.

A li Umani gementi, a i Cieli, a’l Divino rivolto

i miti occhi profondi, deserto ne’l deserto,

il Gran Mystico prega.... — O Anima, o Anima mia,

perchè — quasi rapita — la visione contempli?


Venerdì Santo ’99.

Rodolfo Rampoldi.




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