Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 21 - 21 maggio 1910.pdf/3

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 163


questo punto, colto da una recrudescenza del male e da un ultimo assalto del disordine di cuore, capì di mancare; strinse nervosamente il Crocifisso, tentando con uno sforzo supremo di appressarlo alle labbra; ma la mano cadde pesante e inerte; fulminato, mandava un gemito e spirò, componendo subito il volto ad un sorriso leggero, dolce, quasi traccia lasciata dallo spirito gioioso del suo incontro faccia faccia con Cristo.

Potete immaginare la costernazione di tutta la casa a questo drammatico per quanto atteso scioglimento. Era morto un santo però.... Ma quasi non bastasse ciò che aveva e detto e fatto, a meritarsi una simpatia che non svanirà così presto, in una lettera da aprirsi dopo la sua morte, Gustavo legava la sua magnifica raccolta di libri a Edith come ricordo, come ringraziamento di tante finezze usategli, come tesoro nascosto dal quale togliere lezioni di sapienza vera e di felicità non mentita, e il segreto di diventar santi; unica cosa che valga la pena di vivere e di patire. E al sig. Whiteman lasciava a ricordo, il suo dono, il calice d’oro, col motto: «vuoto d’amarezze». Esatto; quell’angelo di perdono, quel martire del dovere, non aveva egli nei giorni ultimi della sua vita tribolata, accostato ogni mattina a quel calice, le labbra assetate di patimenti, e trangugiato fin l’ultimo resto della feccia amara?

Questo era tutto il testamento olografo di Gustavo. Ma, rovistando tra le poche carte di nessun interesse che giacevano sotto e sperdute, l’occhio cadde su un quaderno sgualcito, con traccie di lacrime cadutevi, e con tutti i segni d’aver servito a ripetute letture. Era una specie di Diario degli ultimi tempi di vita del povero martire, testè spirato. Con viva curiosità e come rattenendo il fiato, fu aperto e scorso di fuga. Mio Dio, che rivelazione!

In capo, tutta una pagina scritta con caratteri decisi e relativamente calligrafi, che portava l’intestazione «La volontà di Dio» trattava del dovere d’inchinarsi a quella forza suprema; della ragionevolezza, dell’interesse anche, per quanto potesse costare.

Nelle pagine seguenti, c’era un resoconto di quanto Gustavo aveva fatto per tradurre in atto le sue belle teorie. La scrittura incerta, tremante, lasciava indovinare che le note fissate su quel quaderno tutto sciupato, erano cadute da una penna che non obbediva più agli entusiasmi d’un tempo, e che erano destinate a ripetuta lettura per trarne chissà quali lezioni. Trovò infatti questa espressione: «Orsù, povero Gustavo, leggi le tue prodezze, ciò che hai potuto fare da te, e quante volte la carne fu debole, nonostante le baldanze dello spirito».

Stralciamo di qua e di là, certe note caratteristiche:

«Dal 20 al 27 maggio il termometro del coraggio discende sempre e mi prende uno sconforto da cui non riesco a liberarmi....

«30. La munizione del coraggio si esaurisce spaventosamente; la mia cameretta echeggia di gridi strazianti che invocano una tregua o un aiuto.

«31. Giornata disastrosa; tutta Genova è in festa; le campane da cento torri diffondono note giulive per tutti, ma non per me. È orrendo non vedere più

neppur il viso dolce della celeste Madre, sorridermi come prima. Cosa ho fatto perchè mi si tolga anche questo ultimo conforto? Il cuore non regge più, mi si spezza....

«1, giugno. Tornato da una lunga passeggiata a S. Francesco d’Albaro, stanco, niente distratto e sollevato dal peso che mi opprime, tento invano di soffocare una voce interiore, che insistente, maliziosa dice: È inutile, la tua è una di quelle rovine che non ammettono più riparo.

«10. Strano questo abbandono di tutti... come mai la fraternità di anime è intermittente, e la corrente stabilita tra cuore e cuore si interrompe così facilmente sospendendo le comunicazioni tra i diversi membri della Comunione dei Santi? Piango mio malgrado; è una debolezza indegna d’un cristiano; ma non so, non riesco a padroneggiare l’emozione e il bisogno che la natura ha di scaricarsi.

«13. Giornata di tenebre dense, palpabili, che mozzano il respiro; è una giornata di suprema umiliazione!... Con ambo le mani tengo stretto il mio coraggio, e protesto che non la mia, ma la volontà di Dio deve compiersi. Reagisco contro la tentazione, ma lo potrò sempre? non soccomberò? O giorni luminosi e ridenti come la primavera, o primi anni del mio sacerdozio, profumati dagli effluvi di tutta una misteriosa natura in fiore, dove siete andati? Quando baldo del favore degli uomini e del vigor di vita giovanile, correvo fidente incontro all’avvenire sfidando difficoltà, ire e persecuzioni, sognando solo conquiste di anime, beandomi in un miraggio che era così bello a vedersi? Ah! piangi, piangi, sventurato Gustavo; la visione sparì; il bel passato sprofondò nel nulla; ed ora, schiacciato sotto il peso d’una muta ed inesorabile riprovazione, smarrito d’ardire, malconcio e pesto e sciupato come un fiore sotto l’incessante diluviare della pioggia, dai pure il bello spettacolo a te stesso ed agli altri....

«20, novembre. Mi opprime il rimorso di aver forse per amore di castità, violata la castità della carità. Respinsi duramente Edith con acerbo rimbrotto; ella forse vinta dalla pietà e tenerezza di donna e senza malizia mi baciò; le dissi che il sacerdote non bacia che i candidi lini e il gelido marmo dell’altare e non riceve baci che dalla Chiesa e da Dio. Lei confusa, atterrita come di un sacrilegio pianse inconsolabile.

«26, dicembre. Come al solito, ebbi dalla Superiora del Collegio dove fui cappellano e insegnante, gli augurii di Natale e cento proteste di stima e d’amicizia. Stavolta risposi agro e crudele forse. Che maravigliavo d’un tal linguaggio; che il concetto che avevo io della amicizia era ben diverso dal suo; che quando non si ha il cosaggio di sostenere e confessare innanzi a tutti un amico che pur si ama e si stima in segreto e quando non c’è pericolo di compromettersi, bisogna aver l’altro coraggio, di non illuderlo invano, di abbandonarlo al suo destino. Ma forse ho agito per uno sfogo di malumore anzichè per amor di giustizia e verità.

«27. Oggi finalmente posso dire di essere davvero rassegnato. Mano divina che pesi dura sul mio capo, e mi percuoti senza pietà, io ti riconosco ai fulgori celesti che traspaiono, ti bacio, ti adoro....»