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IL BUON CUORE 67


mente le speciali virtù femminili che sono le forze necessarie per la vita morale della famiglia e le più vitali di conseguenze, buone o cattive, per la società.

A queste fanciulle che, quale unico sfogo naturale della loro gioja di vivere, della vivacità giovanile (costrette da lunghe ore di fatica e di silenzio) trovano lo scorrazzare per le piazze, il correre, come monelli, per le vie, il gridare tra loro e coi compagni di lavoro sguajatamente; la casa e la quiete modesta di essa, devono divenire, necessariamente, a poco, a poco, opprimenti e tediose e, tanto più, quanto ancora, nella famiglia, permanga il senso della passata educazione severa, del diritto che hanno i genitori di consigliare, di correggere e vigilare la condotta dei figli. Nasce, così, insensibilmente ma profondo, amaro, potente l’antagonismo fra i membri stessi della famiglia e s’inasprisce nell’ombra, una lotta sorda, tra figli e genitori, e cresce di ora in ora un odio dissolvitore delle più care e sacre gioje domestiche, degli stessi affetti famigliari, del benedetto vincolo di parentela che, solo, dà la forza ed il conforto di dominare virilmente le amarezze della vita e di vincerle e si genera perfino — sembrerà mostruosa la mia parola, ma purtroppo essa indica la terribile verità — si genera, dico, l’odio della casa. Come spiegare altrimenti, tante tragedie domestiche, tante vergogne private, l’arroganza brutale dei figli verso gli stessi genitori, l’incompatibilità minacciosa tra fratelli, la dimenticanza assoluta del rispetto, della venerazione, dei doveri che tutti abbiamo verso la nostra Madre e nostro Padre? Come spiegare la lotta tumultuosa dello spirito di chi, giovane, sano, come non seppe sopportare più la cara dipendenza verso i suoi, la sottomissione dolce ai loro consigli ed al loro volere, non resiste al primo urto contro la vita e s’uccide miseramente?

Ricostrurre la famiglia educando la donna.

E’ certo grave indelicatezza guardare nel chiuso mistero delle case; ma la bufera, che ha invertito, in molte di esse, ogni ordine ed ha travolto l’armonia dei rapporti domestici e la disciplina educativa coll’impeto brutale della distruzione, forza le pareti del Santuario e mostra a nudo, purtroppo molto spesso, la vergogna miserabilissima di tanta rovina. Allora gli occhi estranei possono pur profanare, con curiosità, l’intimità sacra della famiglia; ormai questa è distrutta per sempre. Di chi la colpa? Di quale causa? E’ troppo arduo indagare, o meglio, scoprire il vero; certo però è dovere di tutti e delle donne, in ispecial modo, d’arrestare il male e riparare.

La donna, dunque, per le presenti condizioni economiche e sociali, specialmente dei grandi centri, ove l’attività più intensa, ha creato vantaggi ed anche bisogni più vivi, è costretta dal lavoro ad abbandonare la casa e ciò non sarebbe triste, per la giovinezza, quando molte e molte savie e giuste condizioni ne regolassero e guidassero la nuova maniera di vita, in modo da non abusare delle forze, della virtù, della salute e della serenità giovanile. Soprattutto esse dovrebbero mirare a mantenere nel cuore delle fanciulle e delle giovani il culto della casa, l’amore della famiglia, la modestia e la squisita gentilezza dei sentimenti e delle maniere che fanno cara e rispettata la donna. Allora, quando la donna avesse imparato a sentire di nuovo il desiderio della casa come del suo porto tranquillo, dell’altare della sua bellezza e
delle virtù femminili; dopo il lavoro non perderebbe il tempo fuori degli stabilimenti e degli studii privati e degli opifici a civettare fino a tarda ora per le vie, a scherzare impunemente colla propria virtù, a rodersi di desiderio e di invidia dietro alle futilità della vita, del lusso e della moda, ma ritornerebbe felice presso la madre, nella casa che attende la luce del suo sorriso; e la maternità la troverebbe, più tardi, pronta ai sacrifici sublimi per l’amore della nuova famiglia, per la fedeltà al compagno, per l’abnegazione ai doveri importanti della donna, per l’intensa volontà di educare seriamente i figliuoli. Ed infatti è dolorosissimo il pensiero, che ci colpisce, quando riflettiamo alla fretta che queste creature hanno di formarsi una nuova famiglia, quando esse stesse hànno distrutto la prima da cui nacquero, in cui ebbero le carezze materne, in cui crebbero per il lavoro del padre; quando odiano il tempio stesso della loro fanciullezza e della vecchiaja dei genitori. E, da questa leggerezza di sentimenti e da questa mancanza assoluta della educazione morale delle giovani derivano i mali peggiori della società: l’abbandono dei bimbi e la loro rovina fisica e morale, contro cui non è ormai più sufficiente l’opera dei privati e di associazioni, ma urge quella energica del Governo.

Che cosa bisogna fare? l’azione educativa è sempre quella che, per il suo stesso principio e per il suo valore nobilissimo, deve prevalere su qualunque altra, quale opera efficace di prevenzione. Come non si può pretendere che una pianta malata dia buoni frutti; così non si possono forzare, a buone conseguenze, cause radicalmente cattive. Bisogna educare la donna, sia essa operaja od impiegata (non si creda che, quest’ultima, sia meno bisognosa della prima, di tali cure): bisogna educarla alle severe virtù femminili, istillarle, di nuovo, nel cuore l’amore ed il rispetto per la famiglia. Questo amore è una fiamma facile a far divampare nella sua anima destinata agli affetti; ed essa brucerà, di nuovo, purificatrice, quando, un’accorta educazione ne avrà liberato le faville dalla cenere della ignoranza, dell’indifferenza, della vanità e del cinismo.

I mezzi più adatti.

A questo sacro còmpito di redenzione morale della donna e della famiglia non bastano le scuole festive, i ricreatori popolari, ecc.; occorre vigilare le fanciulle quotidianamente e combattere le forze che ne distruggono di continuo la bontà; ora, per ora, nel luogo istesso ove vivono e dove, abbandonate al cattivo esempio e alla propria incosciente sfrenatezza, devono necessariamente guastarsi. Dovrebbe divenire obbligo dei padroni degli stabilimenti, di uffici privati, di laboratori, ecc., d’unire al corpo di fabbrica destinato al lavoro, spaziosi giardini ridenti ove le operaje potessero far colazione e ricreazione senza uscire per le strade, ampi locali luminosi, direi quasi d’educazione, ove esse nei giorni festivi potessero raccogliersi piacevolmente e gustare musica, rappresentazioni artistiche ed educative insieme, a cui potrebbero anche prender parte secondo le proprie inclinazioni, e letture e conferenze, ecc., sotto la guida e il discernimento educativo di volonterosi. Le spese? Dovrebbero essere collettive; del Governo, dei padroni degli stabilimenti, ecc.; ove le operaje danno l’opera delle loro energie giovanili, dei privati, di quanti cooperano anche ora alla vita di istituti educativi per il popolo. Si tratta di cambiar metodo e non di aumen-