Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 42 - 15 ottobre 1910.pdf/7

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 335


serviamo la parola sua — come sacro germe di immortalità, nel cuor nostro.

E continua il Maestro:

— Le opere ch’io fo nel nome del Padre mio, queste attestano per me.

Pare tenti ancora un ultimo sforzo verso quegli indurati, pare dica: se non capiscono nulla s’arrenderanno alle opere, ed espone, per ciò, l’opera sua. — Venite, cercate, frugate la mia esistenza, guardate le opere mie, esse testimoniano per me!

Qual cuore sarebbe rimasto duro davanti all’apostolato fecondo e mirabile di Gesù? Ma i suoi nemici non s’arrendono nemmeno davanti alla sua ineffabile santità! È qualcosa che fa fremere, che fa tremare!

Pensiamo a Gesù ogni volta che il veder disconosciuti i suoi santi ci muove a sdegno e ci fa dolorare! Gli uomini han trattato così anche Gesù! E la grandezza del Maestro s’allargherà, scenderà su’ suoi discepoli, su suoi apostoli.... Vediamoli così nella loro luce sovrana, divinamente grandi e allora anche la pena nostra, il nostro sdegno si trasformeranno quasi in un atteggiamento sacro, compreso, come davanti a ciò che è fatale.

Ma io mi riconforto, leggendo ancora la parola del Vangelo:

— Voi non credete, perchè non siete delle mie pecore, ma le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono ed io do ad esse la vita eterna.

Io esulto! Quanto ha sofferto Gesù per l’imcomprensione dei molti! Ma ci sono stati i pochi che l’hanno capito, che l’hanno seguito, che l’hanno amato, che si son dati a Lui! E a questi pochi Gesù ha saputo di far tanto, ineffabile bene, ha sentito di dar loro la vita eterna! Che gaudio dev’essere stato questo per l’animo del Maestro!

Anche sulla croce il conforto più dolce gli deve essere venuto dal pensare a queste pecore sue, vive per lui! È il divino conforto, la esultanza grande degli apostoli questa, di poter posare misticamente lo sguardo sulle anime salvate, rifatte da loro!

E le poche pecore di Gesù hanno operato prodigi nel mondo e su tutta la terra gli han suscitato discepoli...

Gesù ha preso la sua croce i suoi apostoli la prendono a loro volta e lo seguono e dolorando e morendo rigenerano il mondo.... Davanti a questi destini di santità e di martirio non si può stare che tacendo e pregando.



Don EMILIO ALEMAGNA


moriva dopo lunga estenuante malattia la mattina del 9 ottobre 1910.

Il nome di Don Emilio era caro a molti in Milano e tante e tante persone avevano appreso con viva compassione quale morbo crudele stesse minando una così bella esistenza. L’alta e signorile figura del vecchio architetto s’era vista impallidire e distruggersi in questi ultimi mesi; ed invano il conforto dell’aria dei campi, invano i soccorsi dell’arte medica valsero a ripristinare sullo scarno volto l’antica espressione. Quasi lume che, per deficenza di olio si spegne lentamente, così chiuse

la lunga vita il povero Don Emilio nel suo caro Barasso. Ora più non lo vedranno passare i verdi viali del giardino che egli aveva ideato e ornato di piante e fiori, in questi anni ultimi, quando alla mente affaticata cercò il riposo nella casa antica; ed invano oramai l’attenderanno gli amici.

A lunga stagione di meritate glorie aveva contrapposto ora un’esistenza quasi Tornita, ma dal labbro di Don Emilio uscivano ancora profondi giudizi, e nemmeno l’insidia del morbo valse a ottenebrare mai la lucidità della sua mente.

Chi lo conobbe e l’amò non solo per il nobile e gioviale carattere suo, ma anche per la genialissima attività del suo ingegno, saprà ricordare degnamente i suoi meriti e quanti importanti lavori sostenne. Perchè il suo ingegno estrinsecò in mille opere diversissime, ed in chiese e palazzi, in ville e giardini lasciò vasta impronta di sottile sapienza architettonica, la quale non isfuggirà certo a chi ha l’animo educato al bello ed ama il lustro e il decoro della patria. Così è che il ricordo dell’architetto Alemagna rimarrà indissolubilmente congiunto a molte opere onde s’abbella Milano. E largo sarà il compianto a quest’uomo, come grande è stata la stima che, ai suoi giorni, raccolse.

Ma è troppo doloroso, a chi rimane, salutare per l’ultima volta quelle figure di forti e di saggi, che ai fasti più belli del nostro Risorgimento avevano commessi i più gloriosi momenti della vita loro. Quanti sono oggidì quelli che nacquero col nascere delle patrie speranze? Troppi ne sono morti; e sono morti quando forse dai sogni giovanili era ben diverso il presente. Rimarrà è vero nella memoria dei buoni viva l’immagine di questi cari; ma quanto è mai triste e straziante il rintocco di un’agonia!

E questa risonò per Don Emilio una mattina di domenica, quasi a compimento di un suo pio desiderio. A traverso le chiuse persiane brillò per Don Emilio l’ultimo sole, un sole d’autunno che apparve quasi improvviso dopo imperversare di pioggie. Rese bella e allegra ancora una volta per il povero infermo la villa antica, dove aveva trascorso gli anni primi della giovinezza allo spirare del vento di libertà; e che, nel lungo corso della sua vita, eragli pur sempre stato caro e gradito soggiorno.

Non volle discorsi e nemmeno fiori, facili ad appassire; ma i fiori più belli che sono l’affetto e la memoria, questi rinverdiranno sempre sopra la nuova tomba nell’agreste cimitero; e le preghiere dei buoni saranno la lode migliore ed il più caro tributo.

E queste, o caro Don Emilio, spontanee sempre saranno sul labbro dei tuoi amici, e sopra la verde zolla fiorita, all’ombra dei cipressi, pregheremo, con l’affetto di chi ti ha amato, all’anima tua tranquillo riposo.






Ricordatevi di comperare il 20.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì in questa settimana.