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2 IL BUON CUORE


viva. Poi svoltammo a destra, dirizzandoci verso Gauro, borgatella di Montecorvino Rosella.

Gaurico era, non già Pomponio o Luca, i celebri scienziati del Sec. XVI, ma il Cirino, capoccia della masnada, che scorrazzava e faceva le sue prodezze nei nostri dintorni: di Gauro egli era nativo, e lì aveva i suoi. Onde in que’ pressi, sbrancatosi un momento, che noi riposavamo il corpo lasso, ne tornò con vino, pane companatico. Era sulla mezzanotte e ristoratici in buon punto, per sostener la guerra del cammino, cominciammo su per una balza indiavolata e maledetta aiutandoci colle mani per arrampicarci a guadagnar la faticosa erta. Potevan esser le due dopo mezzanotte, quando fummo sullo scrimolo, dove un’ampia e spaziosa grotta entra nel sasso. Ci gettammo lì come morti, ed anche l’animo era caduto, e illanguidita la speranza di soccorso; svanita del tutto, no; si era sempre tra paesi e vicini all’abitato. Dormimmo per stanchezza, e in sull’albeggiare del nuovo giorno, fosco per nevischio e mesto per pallido sole, rinverdì un po’ di speranza; dacchè un cacciatore s’era spinto fin lassù per beccacce, mancò poco che il cane non annusasse e scoprisse il nostro covo. Come allibivano i briganti! e non vedevano che un tranquillo cacciatore! Che eroi! — Perduta quest’altra speranza, tutto il giorno stemmo lì a rodere il freno, ed almanaccar sulla nostra sorte, fino all’imbrunir della sera, quando il Verzola fu lasciato libero, e per noi cominciavano nuovi tormenti ed affanni. Così il primo giorno, e furono trentasette!

Prof. G. Olivieri.


Per l’Autrice di Profilo Femminile

del Buon Cuore di Natale.


«....Vivi, lotta, soffri con forza e spera! Ama tutti quelli che piangono e sono incompresi e ti stendono le mani, invocandoti col dolce nome di fratello.»

A chi ha scritto, in una pagina luminosa, queste sante parole, l’omaggio di un’altra pagina, che, al suo appello, risponde: il saluto di un ignoto, che va, per altre vie, con la stessa bandiera e per la stessa fede.

Natale del 1910.

Il conte Lao.


L’ARTICOLO DI NATALE

Il giornalismo — e chi non lo sa? — è una missione una professione, una tribuna ed una praticaccia, una nobile arena ed un campo di insidie; un’arte, in cui occorre possedere, non solo della fantasia, per lanciare dardi contro il sole, ma, anche dei muscoli di acciaio, per menar botte da orbi.

Tuttavia, traverso le asprezze, senza quartiere e senza pietà, della quotidiana battaglia, vive, fra i giornalisti, e nei rapporti fra il giornale ed il pubblico, una tradizione di solidarietà, cordiale, affettuosa, gentile, che appare, all’osservatore superficiale, un po’ strana, fra
uomini, i quali si combattono ogni giorno, e non sempre con la inguantata cavalleria delle armi cortesi.

Vive, questa tradizione, chissà come, fra le punte della ironia, fra i ciottoli della contumelia, accanto al gelo di uno scetticismo, che è ineluttabile per le cose umane, a quel modo che il fiore delle alpi vive, chissà come, fra gli abissi e gli aspri dirupi, nella solitudine, accanto ai ghiacci eterni e alla immensa neve.

È una specie di zona neutra, di Croce rossa, nella vasta battaglia delle idee e degli uomini; e, spesso, nelle occasioni della vita quotidiana — sempre, in qualche ora bella della vita, che abbia la benedetta virtù di riunire gli animi — il giornalista dimette l’armatura, che sa i colpi aspri ed iniqui, dimette i colori della sua donna, la politica (la quale, come la donna, in genere, ha, sulla coscienza, un gran numero di spropositi, commessi.... dagli uomini) e stringe cavallerescamente la mano al giornalista avversario, per cooperare, con lui in un pensiero comune e ad un intento comune.

Una di queste occasioni è il Natale. Sarà, forse, un fenomeno di autosuggestione: certo è, però, che, aprendo il numero di Natale, si ha la impressione di un giornale diverso — nel colore, nel tono, in qualche cosa di inafferrabile, ma di reale — da quello che è il giornale degli altri giorni.

Forse, il colore attenuato dei titoli, forse, il contenuto degli articoli, scelti con intendimenti sopraffini di conciliazione, forse, una sapiente distribuzione delle notizie, che è fatta apposta per relegare nella oscurità quelle che sono destinate ad accendere le emozioni e le passioni, e per mettere in luce le altre, destinate a far piacere a tutti; tutto questo insomma, costituisce un processo di non so quale chimica psicologica, che distilla, diluisce, trasforma, l’acido della passione politica, nell’aroma di un liquore, dolce e forte, quale si ricava da certe erbe selvaggie, che, rischiarando il cervello, exchilarat cor.

È per questo che, nello articolo di Natale, lo impetuoso e fegatoso redattore del più atrabiliare giornalucolo anarcoide, diviene meno fegatoso, meno atrabiliare del solito, e lascia trasparire, traverso la sua prosa d’occasione, in più mansueto spirito, una ferocia meno cannibale contro il governo, un certo vago idealismo: ed ecco in qual modo, l’articolo di Natale trasforma il terribile redattore, frequente ad ogni comizio, e urlante contro ogni avversario, in un quid medium fra il giovane di parrucchiere istruito ed il discepolo di Hegel, che, non senza pena, discende, dalla origine delle idee, a questo basso mondo, male rischiarato dalla luce elettrica, e peggio governato dai clerico-moderati.

Per questo, io stesso, che ho l’onore di parlare, in questo momento, a chi mi legge (se pure ne troverò uno). sento, in questi giorni, la tentazione, che avrebbe spinto il vecchio e santo prete del Malombra a gettare le braccia al collo ad un vecchio miscredente, non per rinnegare la fede, ma per servire la carità.

Per questo, noi, che abbiamo, qualche volta, assalito altrui, con una acredine che era — forse — sulla punta della penna, che non era — certo! — nel fondo del cuore, sentiamo il bisogno di dire, a quelli stessi, che