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Pagina:Il buon cuore - Anno X, n. 02 - 7 gennaio 1911.pdf/2

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10 IL BUON CUORE


ziale, l’eroe della carità», come lo salutò il suo popolo, passato beneficando, come un astro benefico che poi tramonta placido, fra il rimpianto e le benedizioni di tutti.

Oggi, al tribunale dei posteri, ai quali il poeta rimetteva pensoso il giudizio e «l’ardua sentenza», la memoria del Guerriero non suscita che un senso di meraviglia per il vasto, fulmineo genio, di compassione per lo sconfinato orgoglio così duramente umiliato. Il nome di San Carlo invece, radiante della gloria più pura, tocca gli estremi confini della cristianità, e attraverso le nazioni: i popoli tutti dell’orbe cattolico a lui inneggiano riconoscenti. Nessun neo e nessuna ombra offusca questa gloria: contemporanei e posteri, concordi e senza trepidazione, vanno proclamando: «Fu vera gloria!».

Lo hanno proclamato anzitutto quelle moltitudini devote che trassero alla sua tomba ininterrottamente per tutto questo indimenticabile 1910.

Le statistiche, che furono scrupolosamente raccolte a gloria della fede e della pietà e ad esempio dei posteri, segnano un totale di circa 250 pellegrinaggi: 34 nel solo mese di maggio e 49 in settembre, tutti edificanti per divozione e imponenti per numero.

E non solo della diocesi milanese traevano i pellegrini, ma anche dalle diocesi limitrofe e persino da lontane città. La diocesi di Bergamo inviò ben 27 pellegrinaggi con un totale di 11127 pellegrini; nobili rappresentanze vennero da Ravenna, da Fermo, da Lucerna, da Colonia. Erano associazioni, collegi, pie confraternite, seminaristi: l’otto settembre 10,000 bambini sfilarono dinanzi alla salma venerata di San Carlo, e il primo novembre erano 400 maestre della città, che vi convenivano in una devota affermazione di fede e di cristiano coraggio.

E l’otto settembre, quando l’urna del santo, portata con nobile gara da cardinali e da vescovi, uscì un istante dalla cattedrale, quasi a salutare gli ultimi crepuscoli di un giorno, che rimarrà scritto a caratteri d’oro nella storia della pietà milanese, erano migliaia e migliaia i cittadini, che affollavano non solo il Duomo, che più non bastò quel giorno, ma tutte le adiacenze. Era quella la degna chiusura di un ciclo grandioso di feste: era il commiato di riconoscenza di cinquanta e più fra vescovi, arcivescovi e cardinali, convenuti dalle regioni più lontane d’Italia e d’Europa, prendevano dal Santo arcivescovo, e dalla città, che ne custodisce con nobile orgoglio la salma e la gloria. Era la risposta viva, tranquilla, devota, ma imponente, che i posteri di ben tre secoli davano alla saggia domanda del poeta.

E col popolo ne ha proclamato la gloria anche quella colluvie di pubblicazioni, che pur senza scostarsi dalla più rigorosa esattezza storica, hanno nella loro collettività tessuto il più bel panegirico di San Carlo, lumeggiando tutte le multiformi manifestazioni della sua inesauribile attività e del suo spirito ancora vibrante di zelo in mezzo al suo popolo.

Proclamarono la gloria di San Carlo tutti i convegni, le accademie letterarie, i congressi, che in suo onore,
o fregiandosi almeno del suo nome, per più di un anno si succedettero, intrecciandosi mirabilmente ai pellegrinaggi, alle funzioni religiose, alle pubblicazioni.

Sembrò per un momento, che a Milano nessuna manifestazione di pietà o di carità fosse possibile, se non ispirata dal ricordo e in omaggio al nome del Borromeo; e al tripudio di Milano faceva eco costante l’Italia, l’Europa, tutto l’orbe cattolico. Così Iddio esalta i suoi servi, così la chiesa glorifica i suoi santi!

E ora che questi posteri con mirabile concordia e senza titubanze hanno pronunciato così il loro verdetto, ora che il ciclo glorioso delle feste centenarie si è chiuso e la salma venerata è ridiscesa nella devota tranquillità del suo prezioso sepolcro, ciò che più importa è che la imagine del santo Arcivescovo rimanga veramente scolpita nel cuore di tutti. A questo miravano anzitutto queste centenarie onoranze.

31 dicembre 1910.


UNA LINEA DELLA FISIONOMIA SPIRITUALE DI S. CARLO1

Ritrarre la fisionomia di un Santo è sempre stato un tormento per l’artista, poichè la tavolozza o la creta in questo lavoro devono assorgere fino alla dignità di rappresentare un bello umano trasfigurato dalla azione più alta della grazia e quasi indiato. Anche nel lato solo della natura ci sono certe angoscie e certe gioie, certi lampi di genio e certe soavemente placide contemplazioni che portano agli occhi delle luci, mettono alle labbra delle movenze che nessuno riprodusse nè riprodurrà mai perchè l’unica tavolozza per quelle tinte, la stempra il nostro sangue e l’unica terra che ammetta simili solchi è il nostro corpo plasmato dallo spirito immortale.

Ma quando queste ore o questi stati di gioia e di pace, quando questi fremiti e questi lampi sono purificati e sublimati dalla santità, allora più che il sangue e il corpo, più anche dell’anima, c’è Dio che lavora, c’è un qualche cosa di cielo che si manifesta, sicchè riprodurre la creatura investita e penetrata così, risponde a riprodurre qualche cosa dell’infinito che è Dio. Orbene, è questo infinito che lascia la disperazione all’artista perchè anche dopo lo studio più accurato del vero, manca sempre alla riproduzione fedele qualche cosa, qualche cosa che c’è, che si sente, ma che sfugge, o Dio, sfugge agli uomini che lo vogliono afferrare e si ritira in Voi sua sorgente.

Allora si getta il pennello o si batte la mazza sul marmo e si dice: Dio non si ritrae.

  1. L’anno degli onori resi a S. Carlo nel Terzo Centenario della sua Canonizzazione è passato. Rimane però ancora il profumo di quel ricordo. Ne è una prova il discorso che pubblichiamo del sac. Pietro Gorla, Canonico di S. Stefano, fatto il novembre scorso a una eletta adunanza di Signore sotto la presidenza di mons. Luigi Marelli, vescovo di Bobbio.