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IL BUON CUORE 123


L’inaugurazione della bandiera

DELLA

Società di Mutuo Soccorso fra i Ciechi e Semi-Ciechi


(Continuazione e fine, vedi n. 15).



Ma veniamo finalmente al protagonista della presente cerimonia, al nostro vessillo. Se la Società dei Ciechi funziona allo stesso modo delle Società consorelle aventi lo stesso scopo, se essa può e deve partecipare a tutte quelle manifestazioni pubbliche che siano consentanee co’ suoi fini, perchè non dovrà essa possedere il suo emblema, il suo simbolo, la sua bandiera? A risolvere questo quesito posto dalla maggioranza dei soci, faceva ostacolo la esiguità del patrimonio sociale, che sarebbe parso disdicevole assottigliare per una spesa, la cui necessità non si mostrava impellente. Allora fu deciso di aprire all’uopo una sottoscrizione, la quale, per merito segnatamente di una nostra socia onoraria fra le più zelanti, la signorina Clarissa Sala, ebbe pieno successo. Ed ecco qua il nostro vessillo, allestitoci dalla ben nota ditta Savelli con gusto veramente indovinato, come potrete constatare fra breve. E qui non posso dispensarmi di rivolgere una parola di vivo ringraziamento all’egregio Sig. Avvocato Lino Barbetta, già membro del Consiglio d’amministrazione di questo Istituto e alla sua gentile consorte per l’onore fattoci, accettando di essere Padrino e Madrina della Bandiera: questo atto cortese per parte di personalità tanto ragguardevoli è un ottimo augurio per l’avvenire della nostra Società. Che cosa dovrà dirci, cari confratelli, il nostro vessillo da oggi in poi? Anzi che rispondere colla mia gelida prosa, sono ben lieto di potervi leggere alcuni bei versi, scritti su questo argomento da una signorina cieca, già allieva di questo Istituto ed ora dimorante in Tirolo. Questi versi le furono inspirati da una descrizione del nostro vessillo, fatta da una nostra socia amica di lei, la signorina Pia Tolomei, della quale avete testè applaudito il canto eletto ed espressivo. La poetessa si chiama Anna Ambrosi; ecco i versi:

ECHI D’ANIMA.

O caro tricolore che i lontani
Fratelli guidi ne la via difficile,
Labaro sacro, scorta fida e splendida
Verso la luce attesa del domani;


O caro tricolore, anch’io su l'ale
Del memore pensier commosso e fervido,
Il mio voto ti mando, e il lieto augurio
D’un cammin glorioso ed immortale.


Una cortese amica ti descrisse
A noi con arte in brevi, elette pagine,
E i sentimenti puri ed ineffabili
Inspirati da te, tutti ci disse.


Di fratellanza e pace un degno e vivo
Simbol campeggia sul tuo drappo serico:
Due mani, che in soave atto si stringono,
Intrecciate da un bel ramo d’ulivo.


Pace, fraternità! santo programma
Che divinizza de la vita il tramite,
Valido aiuto nel volente ascendere,
Almo decoro e nobile orifiamma.


Pace, fraternità! noi scegliamo
Ne l’opre nostre questo motto aureo,
E sia ne l’ora de l’amaro tedio
La magica scintilla, il buon richiamo.


Noi, cui del bene la perenne meta
In un solo congiunge ardente palpito,
Noi, che per essa combattiamo intrepidi
Con un’arcana voluttà segreta,


Noi desïosi, pronti al sacrificio
Per il trronfo de la nostra causa,
Poniam de’ miglior sogni a eccelso culmine
Una gara gentil di beneficio.


O invitto tricolore, a te l’omaggio
D’ogni intelletto che tt sa comprendere,
D’ogni mente che apprezza e sente il palpito
Del tuo d’amor, di pace alto messaggio.


Dispiega al vento i tuoi color fiammanti
Sotto il Lombardo cielo azzurro e libero,
E da presso e da lunge ti salutino
De gli unanimi cuori i plausi e i canti.


Ed ora, o Signori, che vi ho intrattenuti sul nostro passato e sul nostro presente, lasciate ch’io dica anche una parola sul nostro avvenire. L’aver noi saputo per otto anni guidare prudentemente la nostra Società ed avviarla a progresso, deve incoraggiarci a proseguire fiduciosi l’opera nostra, e deve in pari tempo provarvi, o Signori, la nostra capacità. Io credo non debba riuscire a voi senza interesse lo spettacolo di una classe di sventurati, i quali, pur vivendo per la maggior parte in grandi strettezze, sanno trovar modo di aiutarsi a vicenda; e se, come ne sono certo, questo spettacolo può risvegliare in voi qualche sentimento di simpatia a nostro riguardo, noi vi preghiamo di agevolarci il nostro compito colla vostra cooperazione. Qualcosa abbiamo fatto, ma vorremmo fare assai più. Vorremmo poter aumentare il sussidio ai nostri soci ammalati; vorremmo una sede più spaziosa, provvista di molti e buoni libri e di un pianoforte, per chiamare tratto tratto i soci a geniali convegni, affine di sollevare un poco il loro spirito dalle preoccupazioni della vita quotidiana, e per provocare fra essi maggior intimità e un utile scambio d’idee; ma per realizzare tutto ciò, voi sapete meglio di me quello che ci occorrerebbe....

I genovesi raccontano che quando i Santi Nazaro e Celso vollero convertirli alla religione cristiana, andavano ripetendo: «Fratelli, il nostro Dio rende il cento per uno a quelli che danno in suo nome.» Per Giove, esclamavano i genovesi, questo è veramente un buon affare! il Dio dei cristiani è un banchiere come non è tanto facile trovarne! e, allettati dalla speculazione, si convertirono tutti.

Signori, il banchiere è ancora quello dei tempi di Nazaro e Celso, e l’interesse promesso allora non ha subito oggi alcun ribasso, contrariamente a quanto av-