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IL BUON CUORE 135


Per avere pace con gli altri son necessarie una lotta e una virtù ancora maggiore! L’amor proprio, l’egoismo devono esser repressi, rintuzzati ad ogni istante: e alla cura di non offendere si deve aggiungere l’altra, più greve, di non lasciarsi offendere, di esser, cioè, superiori, indifferenti ad ogni mancanza volta contro di noi.

Il saluto di Gesù a’ discepoli non è parola che invita al riposo, ma che invita al combattimento, augurandone la vittoria.

«E gioirono i discepoli al vedere il Signore.»

Privi della fede nel Cristo vivo eran timidi ed in tristezza i seguaci di Gesù: lo rivedono, lo risentono.... nulla cambia esteriormente intorno ad essi, ma essi gioiscono!

È la assenza di Gesù che li rattristava; è la sua presenza che li allieta, la fede in lui che li rianima. La fede dei discepoli deve essere la nostra fede, e la loro esultanza la nostra.

È cosi? Non è che noi si debba gioire nel senso terreno della parola, oh no; non è che noi si debba godere mentre, quaggiù, c’è tanta ragione di pianto! È che noi dobbiamo vincere le lusinghe delle cose che passano, superare l’affanno delle inevitabili sventure e ritrovare in noi, nel sentimento dell’unione con Dio, una ineffabile e sovrumana esultanza.

I grandi cristiani, i santi, di questa pace e serenità nel dolore ci danno esempio magnifico: alla luce che da essi procede esaminiamo noi stessi e vediamo se noi sappiamo gioire nel Signore.

Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi.

Il Maestro ripete la parola sua di augurio e di consiglio solenne. Ciò deve stimolarci a maggiormente desiderare d’attuare in noi e nel mondo la parola divina, a invocare sia, soprattutto, attuata nella sua chiesa!

Dove c’è turbamento non c’è Dio: è così per le anime, così per la società.

Nella pace sarà fecondo l’apostolato cristiano e, nell’amore, onnipotente!

Ma proprio sempre con pace e con carità procedono le cose anche fra i cristiani?

E se anche fra i figli della chiesa si versano tante lagrime amare non viene ciò, perchè anche fra essi, dimentichi della parola del Maestro, s’è infiltrata la guerra? Guerra tanto più indegna, in quanto si ammanta di zelo e di pietà, in quanto fa strazio del cuore dei fedeli, scandalizza i deboli, allontana i vicini!

Signore, Signore che tante e tante volte hai nel Vangelo raccomandato a’ tuoi la pace, l’amore, ripeti la tua parola divina nel cuore di quelli che, pare, l’abbiano dimenticata. Ascolta, Signore, la preghiera delle anime tue in affanno: il loro dolore sia preghiera gradita al tuo cospetto e ridiscenda in rugiada pacifica sul capo di quelli che posson, da te toccati, diventare docili agnelli fra il tuo greggie.


Monsignor PAOLO ROTTA

MORTO IN MILANO IL VENERDÌ SANTO.


Ecco un Sacerdote, del quale nessuno potrà dire che non abbia bene usato del talento, affidatogli dal Signore. Mori a 79 anni, e prima che lo colpisse l’ultima malattia, un’anemia cerebrale, che gli tolse l’esercizio del pensiero, la sua vita fu una continua successione di opere proficue e sante.

Uscito da famiglia onesta e religiosa, la vocazione ecclesiastica, aiutata dalla grazia di Dio, fu come il frutto spontaneo dell’ambiente in cui si trovava. Coadiutore per molti anni nella popolosa parrocchia di S. Eustorgio, fu assiduo in tutti gli uffici del suo ministero. Zelò in modo particolare il decoro del culto della Chiesa del Signore, e il Tempio di S. Eustorgio deve a lui come una completa rinascita in opportuni ristauri.

Ma dove l’opera sua riuscì di merito eccezionale fu nel ricupero dell’antica basilica di S. Vincenzo in Prato, adibita da molti anni in uso di fabbrica di acidi. Egli seppe interessare al progetto tutta la cittadinanza; l’idea sua divenne idea di tutti; ma in modo particolare si deve alla sua instancabile tenacità se Milano potè vedere riaperta al culto, ristaurata secondo Io stile primitivo, questa antichissima basilica.

Molte opere di beneficenza ebbero da lui un contributo assiduo ed efficace. Fu per molti anni, ed era ancora, Ispettore dell’Asilo infantile Mylius, chiamato a ragione, asilo modello. Come delegato presso la Congregazione di Carità, prestò l’opera sua nella erogazione delle elemosine ai poveri.

Il pio Istituto Bianchi, per il ricovero e l’educazione delle figlie del popolo, ebbe in lui per molti anni, come membro del Consiglio amministrativo e direttivo, un prudente e sagace protettore. Era pure membro del Consiglio amministrativo e direttivo dell’Oratorio di S. Filippo.

La vita d’azione non gli tolse di dedicarsi anche a studi e a pubblicazioni utili nell’ordine storico e religioso. Senza ricordare altri lavori di minore importanza, non possiamo tacere della serie di monografie da lui fatte in modo ordinato e successivo delle Basiliche della città di Milano. Le sue cognizioni pratiche nell’architettura religiosa rendevano invocato e prezioso il suo giudizio in discussioni controverse nei ristauri di monumenti antichi.

A questi meriti oggettivi si aggiungeva in lui un carattere equanime, festivo, che si prestava pel bene di tutti, senza esigenze, senza dare importanza a quanto faceva.

Era lustro del Capitolo Ambrosiano, al quale era stato aggregato. I suoi funerali ebbero luogo il i8 corrente nell’insigne basilica, coll’intervento dell’Abate mitrato, di tutti i suoi confratelli, di molte rappresentanze di opere Pie, di una, numerosa schiera di conoscenti e amici.

Dio l’accolga nella sua pace.

Monsignor Angelo Rotta, nipote del defunto, Rettore del Seminario Lombardo a Roma, con parola commossa, al Cimitero monumentale ricordava le doti dell’egregio sacerdote cui fu sempre guida l’amore indiviso della Chiesa e della Patria.

L. V.