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158 IL BUON CUORE


siso all’ombra d’un abete che mi difendeva dal sole cadente, ho ragionato col pastore delle Alpi, colla povera donna, figlia della montagna! E ogni volta fui meravigliato e confuso: tanta era la sapienza della vita, tanto il senso della Provvidenza divina, tanto bassa la stima delle cose terrene, tanta la pace intima e il gaudio d’una vita intemerata!

Dio parla loro dalla cima nebbiosa del monte, dal fragore del torrente montano, dall’orrore della rupe scoscesa, dal candore delle nevi perpetue, dal sole che investe la chioma dell’abete vetusto e la natura vive animata dal soffio onnipossente di Lui, sorride del gaudio di Lui, s’oscura per l’ira di Lui, in mezzo alle mille vicende giovane ancora, com’è perennemente giovane il sorriso di Dio. È giovane lo spirito che vive per Lui per l’ardore della carità, la forza de’ propositi, la non turbata letizia....

Quanto infinito in quella vita che si nasconde in quella mal composta capanna, fra quelle candide greggie, fra quelle cime solitarie di monti.

Quanto infinito in quella madre solerte che educa le generazioni venture e perpetua l’opera di Dio, onoranda per un sacerdozio nobile ed efficace — in quella venerabile canizie che narra ai nepoti le uniformi vicende di una vita lunga e povera, ma degna e intemerata, in quel pudico rossore di volto della giovane sposa che sale al santuario della sua montagna e trepida invoca Maria l Oh! lasciatemi ripetere quella gioconda parola! Quanto bene che c’è nel mondo, quanto il Signore ha prediletto gli umili tra i figli suoi È terribile verità, quella scienza che parrebbe la strada all’infinito non lo scorge, se non è fondata nella più semplice umiltà, ma travia e delira. Se alcuno de’ nostri grandi ha inteso e sentito Dio, guardate se fu nell’arido studio di astruse questioni o fu piuttosto in un’ora mattutina davanti agli altari di Dio — o al tramonto quando l’ultimo raggio di sole o il pio raggio della sorgente luna cadeva sulla mite imagine di Maria e un uomo prostrato in dolce e confidente preghiera.

Quando lessi ne’ volumi del grande Roveretano così eccelse e nuove verità, ne ho ringraziato il Signore: l’eremo di Domodossola, il cilicio e la cella di Rovereto, la chiesuola di Stresa, m’hanno rivelato l’arcano. Ond’è che fu pio e gentile e verace pensiero quello del nostro Vela che la soave effigie di lui scolpì in quell’attitudine abituale di raccolta e dolce preghiera — e il pellegrino che sale il monte di Stresa ammira commosso quella nobile scoltura che gli parla così solennemente e benevolmente di Dio.

E così in quella solitudine stresiana si compendia il poema della scienza e della fede, della filosofia e della carità: e fu pietosa idea de’ figli memori l’erigere sì cospicuo monumento che quel poema ricordi ai venturi.... onde sempre le anime generose sappiano trarne conforto ed ammaestramento. E mite par sorridere il sole a quel sacro recinto — e il vento che investe la selva vicina, e il mormorio dell’onda del lago paion ripetere al peregrino: Sursum corda!... Felice quella riva del lago testimone degli intimi colloqui di quel sommo con Alessandro Manzoni, anima benedetta di mille benedizioni!
Oh! chi mi ridice alcuna di quelle preziose parole di quei due supremi intelletti, i più grandi dell’evo moderno! Ricordo un letto di morte e sorridente il volto del moribondo — «sono nelle mani di Dio, dunque sto bene»; così l’animo virgineo del grande filosofo al sommo poeta, mentre la mano che dettava la Teosofia stringeva quella che aveva scritto gli inni sacri!

Quel momento fu breve e non lo dimenticheremo mai, e finchè l’onda del Verbano si romperà contro lo scoglio deserto, si parlerà ai nepoti di quel dramma di fede. Tale è dunque la divina economia di questo mistero: la strada all’infinito è l’umiltà, la virtù più accessibile a tutti, ed anzi specialmente a coloro che noi meno stimiamo. Il povero tapino che i laceri cenci non proteggono dal vento invernale, saprà, se virtuoso, innalzarsi a Dio con un’abitudine di santi pensieri e con una vita di umiltà e di rassegnazione. Il colpevole pentito de’ molteplici gravissimi errori, troverà nel suo stesso rimorso la strada a Dio e s’innalzerà tant’alto quanto il giusto superbo della sua giustizia non potrà mai. Ed è questo ben ragionevole. Che cos’è infatti l’umiltà se non la verità, la pura verità, la sola verità? Che altro c’insegna la natura, l’esperienza, la ragione? Come non potrà arrivare al vero non solo speculativo, ma pratico colui che fa regola d’ogni sua azione e d’ogni sua pensiero la verità? Come non s’attirerà la compiacenza di Dio l’anima che si ripone al proprio posto, che trema al pensiero di togliere qualche cosa alla gloria del Creatore, che con una sublime abnegazione di ogni momento respira una giustizia perpetua? Il povero vecchio volge lo sguardo al cielo stellato e il suo pensiero trasvola quelle sfere celesti — la povera vecchia che a stento si salva dalla vettura che mena i gaudenti del mondo, non ha un’imprecazione, non un sentimento d’invidia, forse un senso sublime di pietà — il cieco languente a cui vien negata la tenue moneta avrà la sua preghiera anche pel turpe giovinastro che pasce gli occhi di mille iniquità. A questi il mondo non pensa; eppure questi hanno inteso la vita, perchè hanno come intuito un ordine superiore di Dio, si sono innalzati all’infinito che ha loro spiegato il finito — causa causarum. Che ne sà in confronto il tronfio filosofo? Lui che semina dottrine funeste, gravide di immoralità, di sconforto, di dubbio e di disperazione!

Ell’è antica dottrina: i genii del male dicono forse.

Nella loro superbia fanno sè stessi norma e centro; l’infinito s’annebbia e lo confondono col finito, colla veduta corta d’una spanna chiamano Dio al loro sindacato. Credettero essere sapienti ed erano stolti!

Ad un di costoro cresciuto lassù fra l’orgoglio germanico, parve stupenda idea l’equazione fra sè e l’infinito e sclamò con grande compiacenza: Ho trovato! L’infinito sono io, io son Dio!

Quando la povera vecchierella, che a stento legge il libro di preghiere, implora a Dio la conversione d’un filosofo incredulo, che s’accosta stupidamente, insensibile all’eternità, e chiede a Lui di mandargli il suo spirito di sapienza, quella povera vecchierella commenta senza averlo letto il primo capo dell’Epistola ai Romani! Povera nonna! si parlava a lei di un uomo