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IL BUON CUORE 174


di cui le edere hanno teneramente soffocato lo sviluppo e trasformato l’aspetto. Il tronco è interamente nascosto dall’enorme sviluppo delle erbe parassite: i rami, due o tre rami soli, che hanno potuto aprirsi un varco nell’intrico dell’edera vittoriosa, sembrano contorcersi in alto, in attitudine quasi umana, simile a quella di Laocoonte che si divincola invano fra i serpenti....» E del solenne albero italico ricorderò anche una foltissima selva che esiste a mezz’ora da Napoli ed è poco conosciuta, ma addirittura stupenda.... Questo pineto costeggia, un cento metri lungi da Calvizzano, piccolo paese bianco a nord di Capodimonte, un alveo deserto di acque, ma tutto giulivo di verde. Sono snelli ed alti pini che svettano, in una fuga celere ed infinita, sino all’estremo limite dell’orizzonte. Io ho spesso indugiato a mirare il bellissimo spettacolo di questo lungo e folto pineto che versa sull’anima un rallegrante senso di forza, di poesia e di bellezza. E non esagero dicendo che il tramonto calante dietro l’alta cortina di questi alberi dona all’anima una consolazione intensa.... Tutti gli spiriti avidi di una visione che li sollevi anche per poco dal pelago delle volgarità quotidiane, potranno trovare in questo spettacolo magnifico una nuova, e forse, insospettata fonte di serenità e di delizia. E sentiranno anch’essi, come io ho sentito che, insieme alle linfe vitali, qualcosa di nobile e di austero ascende, in quei pini, lungo i tronchi arditi, verso il cielo di cobalto. E il ritmo di cui palpita quell’ascesa, cullerà la loro anima in un senso nuovo di gioia e di poesia.

Alberto Cappelletti.

ECHI E LETTURE

Se le nostre ben composte righe di stampa parlassero! che strana e varia poesia degli occhi sulle pagine di un giornale moderno! E quanta serenità arguta e piacente negli occhi che leggono... gli Echi e letture che giorno per giorno andiamo raccogliendo! E che colori! L’armonia dello sguardo sta nel colore. Gli occhi presentano delle caratteristiche, che allo sguardo di uno studioso possono dare un perfetto ritratto morale della persona a cui appartengono. Il primo problema su cui si sono fermati i.... competenti, è stato quello dell’ereditarietà del colOre della pupilla, secondo la nota legge del Mendel. Lo scienziato A. Droz ed i coniugi Davemport han confortato con esperienze numerose la legge emessa dal Mendel, ed in base alle loro esperienze positive, noi sappiamo oggi che l’occhio bruno rappresenta un carattere dominatore e, quindi, è trasmissibile, mentre, al contrario, l’occhio azzurro rappresenta un carattere destinato ad essere sottomesso, e, quindi non è trasmissibile. Dal colore degli occhi dei genitori si può conoscere decisamente il colore degli occhi che avranno i figli. Se gli occhi dei genitori saranno di colore diverso, quelli dei figlioii assumeranno,

per atavismo, la tinta degli occhi dei nonni. Certo esistono delle leggi che determinano dal colore degli occhi
la natura di un carattere. Secondo esse, gli occhi neri, profondi e ben incavati indicano un temperamento passionale ed ardente, nonchè energia, dominio ed ambizione.... Il nero è il colore del terribile. Gli occhi neri in un viso bianco rappresentano la tempesta nell’aurora; in un viso pallido la notte nel crepuscolo; in un viso bruno la fiamma che si sviluppa da una pira. Lo dice la Voce del cuore che.... non sbaglia.

L’ESPOSIZIONE TRAGICA

Le polemiche che fervono in Francia pro e contro l’idea d’una nuova esposizione universale a Parigi per il 1920, han rimesso negli spiriti il ricordo della più splendida e della più drammatica insieme delle mostre gigantesche, in cui si dettero convegno tutti gli sforzi dell’ingegno umano, l’esposizione di Parigi del 1867. Il ricordo della grande antenata sarà forse dissonante tra gli echi delle feste inaugurali dell’Esposizione romana?

La storia semplice assume qui il colore ed il fremito dell’antica tragedia.... Sentite!

I discorsi dei vecchi francesi sono così tristi nel loro tessuto antonomastico! Se l’anno 1870 è per essi l’année terrible, il 1867 è l'«anno dell’esposizione». Prima di quella che precluse in modo così melanconico agli orrori della Débacle, a Londra ed a Parigi stessa, tre esposizioni universali erano state organizzate. Quella del 1867 le eclissò tutte per un doppio motivo: per lo sfarzo di una magnificenza mai vista prima, pel soffio violento d’una febbre d’irrequietudine, che fu sul punto di spazzare e sperdere ogni cosa.

Era sorta come una città incantata su quell’immenso Campo di Marte, ricco dei ricordi gloriosi del primo impero; lambito per un lato dalla Senna e comunicante, dall’alto, per numerose vie con l'interno della capitale. Il comitato ordinatore, che aveva alla sua testa Federico Le Play, l’economista insigne della «Riforma sociale» lo aveva trasformato in un parco gigantesco, seminato di chioschi e di padiglioni pittoreschi, graziosi, fantastici. Nel mezzo sorgeva l’edifizio principale della Esposizione. Era un’immensa costruzione circolare d’un sol piano, che copriva da solo una estensione di sedici ettari. L’apparenza esterna era poco elegante, ma quanti tesori ingegnosi all’interno! Ognuna delle mille zone concentriche era consacrata ad una delle grandi classificazioni dell’industria. E le vie disposte a raggiera, separavano tra loro le mostre dei diversi popoli. Prima di giungervi si sostava attirati dalle costruzioni, dalle seduzioni più capricciose: fari, teatri, serragli, templi egiziani, portici greci, pagode cinesi, cottages inglesi, villaggi olandesi, isbahs russi, capanne svedesi. Predominava l’Oriente con le sue moschee, i suoi caffè, i bazars, e una serie infinita d’imitazioni bizantine. In un punto era messo un accampamento di Arabi, in un altro, una tribù cosacca coi suoi cavalli, poi Messicani,