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IL BUON CUORE | 174 |
Alberto Cappelletti.
ECHI E LETTURE
Se le nostre ben composte righe di stampa parlassero! che strana e varia poesia degli occhi sulle pagine di un giornale moderno! E quanta serenità arguta e piacente negli occhi che leggono... gli Echi e letture che giorno per giorno andiamo raccogliendo! E che colori! L’armonia dello sguardo sta nel colore. Gli occhi presentano delle caratteristiche, che allo sguardo di uno studioso possono dare un perfetto ritratto morale della persona a cui appartengono. Il primo problema su cui si sono fermati i.... competenti, è stato quello dell’ereditarietà del colOre della pupilla, secondo la nota legge del Mendel. Lo scienziato A. Droz ed i coniugi Davemport han confortato con esperienze numerose la legge emessa dal Mendel, ed in base alle loro esperienze positive, noi sappiamo oggi che l’occhio bruno rappresenta un carattere dominatore e, quindi, è trasmissibile, mentre, al contrario, l’occhio azzurro rappresenta un carattere destinato ad essere sottomesso, e, quindi non è trasmissibile. Dal colore degli occhi dei genitori si può conoscere decisamente il colore degli occhi che avranno i figli. Se gli occhi dei genitori saranno di colore diverso, quelli dei figlioii assumeranno,
per atavismo, la tinta degli occhi dei nonni. Certo esistono delle leggi che determinano dal colore degli occhiL’ESPOSIZIONE TRAGICA
Le polemiche che fervono in Francia pro e contro l’idea d’una nuova esposizione universale a Parigi per il 1920, han rimesso negli spiriti il ricordo della più splendida e della più drammatica insieme delle mostre gigantesche, in cui si dettero convegno tutti gli sforzi dell’ingegno umano, l’esposizione di Parigi del 1867. Il ricordo della grande antenata sarà forse dissonante tra gli echi delle feste inaugurali dell’Esposizione romana?
La storia semplice assume qui il colore ed il fremito dell’antica tragedia.... Sentite!
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I discorsi dei vecchi francesi sono così tristi nel loro tessuto antonomastico! Se l’anno 1870 è per essi l’année terrible, il 1867 è l'«anno dell’esposizione». Prima di quella che precluse in modo così melanconico agli orrori della Débacle, a Londra ed a Parigi stessa, tre esposizioni universali erano state organizzate. Quella del 1867 le eclissò tutte per un doppio motivo: per lo sfarzo di una magnificenza mai vista prima, pel soffio violento d’una febbre d’irrequietudine, che fu sul punto di spazzare e sperdere ogni cosa.
Era sorta come una città incantata su quell’immenso Campo di Marte, ricco dei ricordi gloriosi del primo impero; lambito per un lato dalla Senna e comunicante, dall’alto, per numerose vie con l'interno della capitale. Il comitato ordinatore, che aveva alla sua testa Federico Le Play, l’economista insigne della «Riforma sociale» lo aveva trasformato in un parco gigantesco, seminato di chioschi e di padiglioni pittoreschi, graziosi, fantastici. Nel mezzo sorgeva l’edifizio principale della Esposizione. Era un’immensa costruzione circolare d’un sol piano, che copriva da solo una estensione di sedici ettari. L’apparenza esterna era poco elegante, ma quanti tesori ingegnosi all’interno! Ognuna delle mille zone concentriche era consacrata ad una delle grandi classificazioni dell’industria. E le vie disposte a raggiera, separavano tra loro le mostre dei diversi popoli. Prima di giungervi si sostava attirati dalle costruzioni, dalle seduzioni più capricciose: fari, teatri, serragli, templi egiziani, portici greci, pagode cinesi, cottages inglesi, villaggi olandesi, isbahs russi, capanne svedesi. Predominava l’Oriente con le sue moschee, i suoi caffè, i bazars, e una serie infinita d’imitazioni bizantine. In un punto era messo un accampamento di Arabi, in un altro, una tribù cosacca coi suoi cavalli, poi Messicani,