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IL BUON CUORE 221


servizio divino. L’associazione è rappresentata in Europa, in America e in Australia, ecc. Presso l’Ordinario di ogni diocesi, v’ha in Germania un membro di fiducia specialmente occupato allo scopo dell’associazione di San Raffaele: scopo che non è puramente religioso, poichè ogni emigrazione nuova può essere considerata come la creazione di uno sbocco nuovo per l’esportazione; e così i cattolici lavorano alla prosperità e alla grandezza della loro patria.

La situazione non è identica in Germania ed in Italia. Da noi il cattolicismo ha radici più profondamente nazionali, ma urge che gli italiani che rimangono in patria si occupino maggiormente della Italica gens che emigra, che siano mantenuti più intimi i rapporti tra le piccole Italie e la madre patria, e che sopratutto si vegli alla conservazione della fede religiosa, perduta la quale, il nostro emigrato diviene facilmente preda dell’anarchia.

L’Opera d’assistenza, l’Italica gens, i Salesiani, i nostri missionari in genere — per non nominare ogni associazione particolarmente — sono benemeriti. Ma non si è fatto ancora abbastanza. Bisogna tendere ad altiora.

E. V.

Il problema della cittadinanza all’estero

Un caratteristico e necessario contrasto ha animato di tanta passione e di tanto fervore la discussione sulla cittadinanza che si è svolta al congresso degli italiani all’estero; un contrasto in cui tutti gli italiani che si trovano lontani dalla madre patria vengono prima o poi a trovarsi; un contrasto che dà loro tormento di spirito e che pone in conflitto i più gravi loro interessi — da cui pure non possono prescindere — e le loro più sincere e potenti aspirazioni di nazionalità.

Lasciamo da parte il caso del cittadino italiano che, nella sua qualità di emigrante, traversa periodicamente l’oceano e passa breve parte dell’anno all’estero, occupato in determinati lavori di cui, poi, trarrà quei risparmi che riverserà in patria. Egli, nella terra che lo accoglie, non stringe legami di sorta, non crea che transitori interessi e per lui il problema di cui tanto si discute non ha che un valore relativo. Lascia la patria come cittadino italiano, tale rimane durante la sua permanenza in terra straniera e tale, secondo il giusto concetto dei più, deve rimanere anche se, dal suo stato giuridico che lo pone in contrasto con la nazione che lo ospita, può ricevere qualche danno.

Il problema della cittadinanza assurge, invece, alla più alta importanza e va considerato sotto un aspetto in certo modo sentimentale — sotto quell’aspetto, cioè, che commuove la grande turba di italiani che vi sono interessati e che rende le discussioni sull’argomento vive ed appassionate — solo quando riflette la condizione di quei nostri connazionali i quali — forse avendo lasciata la madre patria con l’intenzione di ritornare a lei, o avendola lasciata con la ferma volontà di ri-
manere a lei uniti negli affetti e con vincoli giuridici — si accorgono poi che questa loro intenzione e questa volontà s’infrange di fronte a realtà molto tristi e certo superiori e più forti della loro nobile idealità.

Essi s’illusero di poter lasciare l'Italia e di poter creare una fitta rete d’interessi materiali in terra straniera pur rimanendo cittadini italiani; e si accorgono, invece, che la terra straniera se dà loro quella fortuna che ricercavano avidamente toglie ad essi, in compenso, qualche cosa della loro anima italiana; perchè li costringe, appunto per questi interessi, a rinunciare al titolo della patria di origine, a divenire figli di un’altra nazione e ad interessarsi, per proprio tornaconto, delle sorti e degli interessi della nuova patria, che hanno accettato.

E tutti i rimedi che si sono escogitati finora per risolvere il problema non servono che ad alimentare illusioni; illusioni che poi, come tanti sogni dei nostri emigranti, svaniscono.

Si era trovata la formula giuridica della doppia cittadinanza; ma essa oramai è abbandonata come la risoluzione più grottesca del problema e come l’assurdo giuridico più urtante e più repugnante. La cittadinanza che costituisce prevalentemente una forma di diritto anzichè uno stato di fatto non può sovrapporsi due volte nello stesso soggetto; perchè altrimenti quel conflitto, la cui risoluzione andiamo cercando, lo ritroviamo più grave e più acuto laddove credevamo di averlo eliminato. Senza dire — come acutamente osservò ieri lo Scialoia prospettando il problema da un punto di vista pratico e molto doloroso per noi — che la doppia cittadinanza è un sistema pericoloso per noi italiani che all’estero, in gran parte a torto e certo con grandi esagerazioni, siamo accusati di essere spesso e volentieri poco rispettosi della buona fede altrui. Questa doppia cittadinanza può spingere talvolta gli elementi peggiori della nostra emigrazione fino alla truffa e può gettare sugli elementi migliori — che costituiscono la grande maggioranza — un sospetto che certamente danneggia il nostro nome all’estero. Dunque, per queste e per altre considerazioni anche più gravi, la risoluzione della doppia cittadinanza va scartata, e l’ha condannata solennemente il congresso di Roma approvando un ordine del giorno in cui di essa non si parla neppure.

Ma in esso, se non si parla della doppia cittadinanza, non si affronta neppure il problema nel suo aspetto principale; almeno che per risoluzione, certo molto indiretta, non si consideri l’affermazione molto importante del resto, che l’assunzione della cittadinanza straniera non va reputata come atto contrario alla patria. Però, a parte questo, l’impressione che si prova nel leggere il lungo ordine del giorno che il congresso ha approvato con tutti i suoi considerando è questa: che esso, nel complesso, non corrisponda, nell’importanza e nello spirito, alla larga e veramente alta discussione che lo precedette. Il dibattito a cui presero parte eminenti giuristi, uomini politici e pubblicisti, portò alla penetrazione dello spirito vero del problema ideale che si discuteva e il congresso, invece, con l’approvazione di un voto, sanzionò solo degli aspetti particolari, spe-