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286 il buon cuore
i colpi della disciplina, passerei le notti in preghiera sul pavimento della mia cella. La mia opera! so io se è perita?

Ahimè! che Pietro di Montreuil non veniva a consolare quello sventurato.

E non era solo nei riguardi di lui che si mostrava ingrato. Come obliava il benefattore che l’avea tolto alla condizione di misero artigiano, avea egualmente obliata la fanciulla che tante volte l’avea sostenuto tra i dolori di questa vita di sofferenze; quella che tante volte gli aveva terso il pianto; quella che tante volte avea deviato da Pietro la collera paterna. Ma nella fortuna si dimenticano gli amici che si implorano nella sventura; si respingono, come il prigioniero finalmente libero, rigetta i ferri che ha portato e che gli ricordano come non sempre sia stato libero e felice. Pietro che avea avuto orrore di dir bugia al Re, lasciava intanto fra le lacrime il suo benefattore e l’unico sostegno che avea trovato nel tempo della sua miseria.

Il cuore non mancava di rimproverargli questa doppia ingratitudine, ma la vanità soffocava i suoi rimorsi. — Al monaco, — dicea egli — appartiene la creazione del disegno, ma a me solo l’esecuzione. Quando comparvi davanti al Re non mi appropriai la parte di questo sconosciuto. Ed egli mi lascia oggi la mia, giacchè non mancherà di dire adesso: io fui la testa ed il pensiero, e Pietro di Montreuil non fu che uno strumento! Quanto alla piccola Agnese, deve forse l’architetto reale mantenere la promessa del figlio del pasticciere? Senza dubbio Agnese mi ama ed io le ricambio l’affezione; ma, che direbbero i miei rivali, che direbbero i grandi signori che mi trattano da uguale, vista l’amicizia di cui mi onora il Re e la superiorità del mio talento, se venissero a sapere che io sposo la piccola pasticciera che vende loro le cialde alla insegna di S. Lorenzo? Qui nessuno conosce la mia origine, qui nessuno sa per quali vie misteriose sono arrivato vicino al Re. Andrò io come un insensato a dar pretesti di ridere? mi abbandonerò, legato mani e piedi, ai sarcasmi dei cortigiani ed agli scherni dei rivali? No, per la mia salute. Agnese faccia come fo io, e malgrado ciò che possa costarmi, soffochi il suo amore. Se d’altronde ella mi ama per me, e non per egoismo, se la sua tenerezza è schietta, un tal sacrificio dovrà parerle necessario, indispensabile, inevitabile anche. Ma no; quando mi incontra si dispera, vuol morire, mi si getta ai piedi e mi supplica di non abbandonarla... ed allora mi sento debole anch’io e presso a cedere alla sua disperazione.... Andiamo, andiamo, lungi da me questi pensieri volgari! diamoci tutto alla gioia, alla gloria della grande solennità di domani in cui avrà luogo l’inaugurazione della Santa Cappella; è domani che ella accoglierà le Reliquie venute d’Oriente; è domani che comincia per me la gloria, la gloria che farà passare il mio nome ai secoli più lontani!

E la consacrazione ebbe luogo veramente l’indomani 25 aprile 1248, Domenica in Albis con una pompa inaudita. Dallo spuntar del giorno, il suono delle campane echeggiante nell’aria colle sue melodiose onde avvertì i fedeli della grande solennità. E dopo i primi rintoc-
chi una folla immensa si raccolse attorno alla Santa Cappella e si vide arrivare tutte le Confraternite nei loro costumi ed a vessilli spiegati. Le prime venute furono quelle di Bezoche, precedute dal loro re, cinta la testa da una corona d’oro; bentosto seguite dall’imperatore di Galilea e dai suoi sudditi, cioè dal capo della comunità dei chierici della corte dei conti. Seguirono poi le diverse scuole, quindi le corporazioni dei mercanti, infine tutti gli ordini di monaci che popolavano i numerosi conventi della città. Questa folla immensa filò lungo la Senna non senza grande tumulto, non senza trasporto d’ammirazione alla vista del sacro edilizio, liberato durante la notte delle ultime impalcature che ne impedivano la vista.

Finalmente allo scoccare delle otto, il Re S. Luigi entrò nella cappella a piedi nudi e portando le insegne reali. Lo segui vano tutti i signori della corte, e la regina Bianca andò a collocarsi in una tribuna accanto alla sposa del re, la regina Margherita.

Allora apparve il vescovo di Frascati Oddone, Legato della. Santa Sede, assistito da molti dignitari ecclesiastici. Il Prelato ricevette da una giovinetta biancovestita le Sacre Reliquie per le quali era stata costruita la Santa Cappella, di cui faceva parte la Corona di Spine. Quindi suoni dell’organo, canti festosi pieni di una maestà impressionante. Il Re estremamente commosso piangeva; battevasi il petto e non rifiniva di render grazie a Dio.

La costruzione della Santa Cappella costò nove milioni di nostra moneta.

La Santa Cappella fu in ogni tempo oggetto di venerazione e liberalità dei re di Francia. Nel 1246 S. Luigi vi stabilì un collegio di ecclesiastici. Filippo IV vi eresse una cappella dedicata a S. Luigi re, di cui nel 1297 ottanea la canonizzazione; sotto il regno di costui la giustizia vi mise piede per impadronirsene totalmente in seguito. Luigi XI arricchì la Santa Cappella di privilegi, doni, reliquie, di ornamenti in lapislazzuli.

Il tesoro della Santa Cappella era d’un valore inestimabile; tra molti oggetti preziosi, vi figurava un’Agata d’immense dimensioni portante inciso l’apoteosi dell’imperatore Augusto.

Nella sua qualità di Parrochia reale la Santa Cappella godeva di tutta la pompa della liturgia e della regalità. Come tutte le Parrocchie, avea le sue feste ordinarie e straordinarie e un cerimoniale speciale. Ad esempio nella festa dei SS. Innocenti i chierichetti svincolati da disciplina, portavano i segni delle più alte dignità, occupavano í primi posti e contraffaceano i loro superiori con tutta la libertà. La festa di Pentecoste, oltre la stoppa accesa, la pioggia di fiori cadente dall’alto, e piccioni candidissimi messi in libertà per annunciare con materiali allegorie la venuta dello Spirito Santo, un angelo, messo in movimento con un meccanismo invisibile, discendea dall’alto della navata e veniva a versare sulle mani del celebrante dell’acqua contenuta in un vaso d’oro. Carlo VIII avendo assistito a questo spettacolo nel 1484, prese tanto piacere da farlo ripetere per due domeniche consecutive. Un’altra particolarità: la notte del venerdi al sabato Santo una folla di malati, special-