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il buon cuore 325
vestiti di S. Francesco. Due sole parole rompono le lagrime e il silenzio di quel santuario: figlio! — o mamma!

Non temete, o anime, nelle vostre generose donazioni, nelle vostre privazioni che vi lacerano il cuore. Dio è padre, è madre, e amico, ha viscere di bontà, di tenerezza inesauribile. Date e vi sarà dato in misura piena e colma e sovrabbondante. Ogni vostra lagrima, ogni voce d’angoscia pei vostri distacchi, sono contate da Lui ed egli è impegnato a non mostrarsi meno generoso di voi.

Trovato così anche il figlio in una rigenerazione completa di tutto il suo sangue, ella poteva ben dirsi felice. E lo era nel suo significato più bello. Ma era precisamente questa felicità di sentirsi tutta rifatta in Gesù Cristo, che suscitava in lei un bisogno più ardente, più sentito, un movimento più accelerato del cuore per la brama di andare finalmente al possesso svelat’o e completo di Lui che amava e dal quale era tanto riamata. Era felice, eppure non era quieta, come il pellegrino che vede vicina la patria sponda e gli tarda il momento di raggiungerla.

A un chilometro da Porta Berarda, quasi sulla vetta del monte sul cui fianco si adagia Cortona, biancheggiava tra i verdi la povera chiesa di S. Basilio, ormai distrutta dagli anni e dalle tempeste. Da qualche tempo la nostra Santa vi si sentiva attratta, e fermandosi tra le campagne a guardarla, ricordava la Cantica e il suo nido tra i forami della pietra.

Seppe che vicino esisteva una misera casa. Decise, e il i maggio del 1288, malata e raggiante, vi si trascinò pensando di finire là i suoi giorni penitenti nell’addio di ogni creatura, nell’assorbimento completo del suo Diletto.

Nove anni di dolori tremendi fisici e morali l’attendevano lassù, portata quasi tra cielo e terra come Cristo nella croce. Iddio la amava troppo per aspettare dopo morte a darle l’ultima purificazione. Facendosi ogni di più intima l’unione, la natura divina, che stava per assorbirla ne’ suoi splendori, doveva spezzare anche i fili più santi che la tenevano legata alla terra.

Parte del popolo incominciò a raffredarsi nella riconoscenza e nell’affetto verso di lei; non seppe guardare traverso il divino mantello del dolore che la copriva e vedervi sotto il cesello di santità che riceveva gli ultimi ritocchi dal Supremo Artista.

A poco a poco si giudicarono stranezze le sue penitenze, follia i suoi ardori di carità. Quella eroina fu derisa, e la sua povera ultima cella ebbe l’onore di attirare la sassaiola della strada. Un dì le pietre volarono entro la finestra e la colpirono sul suo povero giacilio. Cara, cara e grande, che dicesti, con gli occhi più umidi: — finalmente mi hanno conosciuta — !

Anche i figli di S. Francesco che l’avevano accolta fin dal suo primo convertirsi, che le furono angeli, che le diedero il santo amico della sua santità, si ritirarono alquanto a poco a poco da lei. Tutti via, tutti via. Oh disegni adorabili del Divino Sposo, geloso di quella bellezza! Dapprima fu imposto al P. Giunta che vedesse una volta sola alla settimana la povera malata, poi si vollero le visite più rare. Ella capiva, e co’ suoi sguardi gli diceva: — finiranno con allontanar vi del tutto. —

(Continua).

Can. Pietro Gorla.


La «GIOCONDA» di Leonardo da Vinci


IL MISTERO DI MONNA LISA

Ancora intorno alla tela meravigliosa che il tempo aveva un poco oscurato, ma donde gli occhi contemplatori potevano attingere sempre l’ultima gioia della bellezza, come l’acqua pura da uno zampillo puro, perennemente rinnovato, e sempre simile a se stesso, ancora intorno alla Gioconda prodigiosa, il mistero non è stanco d’intrecciare le sue maglie oscuramente strane. Il quadro leonardesco di Monna Lisa è stato rubato dal Museo del Louvre! Ciò sembra più inverosimile di molte delle leggende di cui ha fatto vaneggiare le genti quella femminea creatura immortalata dall’arte. Ma quelle leggende, anche se strane, anche se audaci, erano belle; mentre quella del furto, ahimè (che pare una favola pur senza esserlo) quella è incomprensibile e triste e volgare anche.... Come fu tolta Monna Lisa dal suo melanconico trono di esiliata (ella nata sotto il cielo di Napoli, vissuta fra le leggiadrie di Fiorenza cinquecentesca!) come fu compiuto l’incredibile gesto, forse, chi sa?, noi potremo sapere domani; ma ci sembra che non mai potremo comprendere a pieno il perchè fu consumato l’atto delittuoso. Oh! vi sono ancora ladri così ingenti, da confidar sì facilmente nel trafugamento di un quadro, per una conseguente possibile vendita nei domini d’oltre oceano? Eppure l’impresa deve apparire abbastanza difficile ai nostri giorni, e molte esperienze recenti hanno dimostrato che è anche alquanto pericolosa. E non ostante ciò Monna Lisa fu rapita, e noi pensiamo, ci chiediamo con stupore ove mai, ella, in questo momento, dispieghi il suo meraviglioso enigmatico sorriso.... Forse — ipotesi strana questa, ma non più del furto che fu compiuto — forse, l’immortale Gioconda fu tolta al regno suo silenzioso, da qualche folle innamorato della bellezza sua. Chi sa, che non v’abbia qualche sacrilego pazzo che si sia illuso (ciò non diminuirebbe naturalmente la gravità della colpa) di poter vedere, godere egli solo: egli solo penetrare il mistero di quel singolare sorriso fatto di umanità e di spiritualità ad un tempo!, egli solo misurare in una contemplazione interminata, la potenza di quell’opera che il Vasari disse «dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice, e sia qual si vuole».

Monna Lisa, se voi poteste ascoltarmi, se voi dalla prigione oscura ove certo siete ora confinata, se voi, poteste udire ora la mia ipotesi fantastica, voi che sola sapete il mistero del rapimento vostro, forse sorridereste più volentieri di quella tenue ironia che corre con vero, inestinguibile guzzo di vita sulle vostre labbra perfette. La vostra figura chiusa, quasi fredda in apparenza, disposta in atteggiamento di calma perfetta, è tanto, tanto in contrasto — non è vero? — con le tormentate creature, che la nostra arte ora predilige: che le genti sono adesso abituare ad ammirare. Il vo-